Un recente studio della ricercatrice Bianca Price, dell’University of South Australia, pubblicato sul Journal of International Business and Economics rivela che l’assunzione nei negozi di personale attraente non è un modello di business vincente. Le giovani donne sono meno inclini all’acquisto se si trovano di fronte ad un’attraente assistente di vendita.
“Credo l’indagine sia ispirato dalla mia esperienza personale”, afferma Price, “Come molte donne, mi diverto a fare shopping, ma spesso la mia gioia di acquistare viene compromessa dall’interazione con il personale di vendita”. Il conforto di un abito che migliora e ingentilisce l’aspetto, si attenua (fino a svanire quasi completamente) a contatto con una donna avvenente, a cui ogni capo, sta bene.
La ricerca si è concentrata sull’acquisto nelle boutique e sono state intervistate più di 300 studentesse universitarie tra i 18 e i 26 anni così da determinarne i modelli di acquisto. Dai dati raccolti emerge che i criteri di assunzione dei negozianti dovrebbero raggiungere una prospettiva più variegata e non limitarsi ad una scelta esclusivamente estetica, se desiderano incrementare le loro vendite. “Occorre prendere consapevolezza di diversi gradi disagio comportamentale del cliente, incluso l’astensione dall’entrare in un negozio onde evitare un potenziale contesto di paragone sociale”, continua la Price.
Ancora una volta, il peso estetico dell’immagine femminile è fonte di disquisizione sociale e oggetto di studio e di indagine di mercato. L’uso indiscriminato che si fa del corpo della donna, sovraesposto ed esasperato, frutto di un tacito diktat collettivo che propone e impone il “modello Barbie” a tutte le età, genera comportamenti sociali alterati.
Per approndire: Price, B. E. & Murray, D. W. (2009) – Match-up revisited: The effect of staff attractiveness on purchase intentions in younger adult females: Social comparative and product relevance effects
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