Le nuove matricole senza lingua

apertura-pagina-9.jpg“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Il sommo padre della lingua italiana, Dante Alighieri, presterebbe probabilmente volentieri ai docenti dell’Unifi la sua epigrafe più famosa. Le aule, per loro, a leggere i risultati dei test di pre-immatricolazione svolti da due anni sulle matricole, assumono le fulgide sembianze d’un girone infernale.

“Quale sarà il superlativo di “bello”?”. Sembra quasi di vederla la nuvoletta dubbiosa sulle teste pensanti dei ragazzi intenti a fare il pre-esame lo scorso anno. Dubbio che non si è dissolto quando si è trattato di scrivere la risposta definitiva con la dura penna: più del 25% dei ragazzi, infatti, ha tremendamente sbagliato. Per non parlare della coniugazione alla prima persona del condizionale del verbo andare, o del plurale della parola “letargo”: un’ecatombe d’errori.

E quest’anno, com’è andata? Paradossalmente, la facoltà più colpita dal virus delle lacune in italiano è stata Lettere: il 60% delle matricole non raggiunge nemmeno la sufficienza. Difficilissimo è stato indicare il significato di “procrastinare”, ad esempio. La punteggiatura, poi, sembra formaggio da spargere a caso sul testo, con virgole che dividono soggetti e verbi, vocaboli dai propri aggettivi. Non solo ortografia e grammatica: anche la cultura generale degli aspiranti universitari è da profondo rosso. Difficilissimo, ad esempio, indicare “il Paese nel quale lottano i Talebani”, o l’orientamento politico del presidente Obama.

“I problemi più gravi li abbiamo incontrati nella comprensione del testo – incalza la preside di Lettere, professoressa Franca Pecchioli – anche perché se i ragazzi non conoscono un’opera letteraria, o si sono dimenticati una regola grammaticale, possiamo anche provare a farli recuperare, ma a leggere un testo a vent’anni non può certo inse¬gnar loro nessuno”.

Considerazione che trova perfettamente d’accordo anche il preside di Economia, professor Giampiero Nigro: nella sua facoltà, uno studente su 4 è ampiamente sotto la sufficienza, e il 26% è ammesso con riserva. Molti esaminatori, poi, dopo aver letto i test si son detti “sconcertati” dalla pochezza del lessico utilizzato: “Sembra di leggere un sms” è stato il caustico commento che più è circolato.

Detto questo, diamo un po’ i numeri. Secondo l’ultimo studio compiuto da Nielsen per l’Osservatorio sui contenuti digitali il 47% dei giovani italiani tra i 14 e i 19 anni afferma tranquillo che potrebbe fare a meno di essere informato su quanto accada nel mondo e il 37% di leggere libri, o quant’altro. Altro numero: tra i 24 e i 35 anni l’Italia ha 15 laureati. Tanto per avere un’idea: la Francia, stessa fascia di età, ne ha 38, il Regno Unito 31.

Un altro ancora: nei primi dodici mesi un quinto delle matricole italiane abbandona gli studi universitari. A questo punto, la colpa di cotanta moria non è probabilmente soltanto del sistema universitario italiano, ma viene da più lontano. Scuola e famiglia le principali indiziate. La vittima? Semplicemente, il nostro futuro.

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