L'Italia geofisica e la micro-placca di Adria

A colloquio con Pasquale De Gori, tra gli scienziati dell’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che hanno scoperto la micro-placca di Adria. Che cosa aggiunge il vostro studio a ciò che si sapeva sull’origine degli Appennini? Siamo riusciti a delineare con una precisione e un dettaglio mai ottenuti prima il Piano di Benioff, la superficie lungo cui avviene lo sprofondamento, che scende fino a 60 chilometri in profondità.

A colloquio con Pasquale De Gori, tra gli scienziati dell’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia composto da che hanno scoperto la micro-placca di Adria.
Che cosa aggiunge il vostro studio a ciò che si sapeva sull’origine degli Appennini?
Siamo riusciti a delineare con una precisione e un dettaglio mai ottenuti prima il Piano di Benioff, la superficie lungo cui avviene lo sprofondamento, che scende fino a 60 chilometri in profondità.
Non male come profondità. Con quali tecniche siete riusciti a investigare fin laggiù?
In particolare ci siamo avvalsi della tomografia sismica. Analogamente alla Tac che viene diffusamente utilizzata nella diagnostica radiologica, in geologia la tomografia sismica permette di “vedere” cosa accade nello strato superficiale della crosta terrestre. Si esaminano le anomalie di velocità di propagazione delle onde sismiche che si sprigionano durante i terremoti e dal confronto con i valori di riferimento noti siamo in grado di ricostruire i volumi di materiale profondo, lo stato fisico di queste rocce e le proprietà meccaniche.
Il vostro studio che importanza può avere?
Contribuisce senza dubbio alla comprensione dell’evoluzione nel tempo e nello spazio della catena appenninica. E, più tecnicamente, a risolvere alcuni aspetti strettamente connessi alla subduzione di litosfera continentale nella formazione di una catena montuosa.
Tempo e spazio, appunto. Benché si tratti di una catena montuosa in costruzione da diversi milioni di anni, l’Appennino è una struttura geologicamente ancora giovane. ‘Sismicamente’ parlando questo cosa significa per il nostro Paese?
La sismicità è l’espressione più evidente che la zona studiata si sta tuttora evolvendo. Nell’Appennino centro-settentrionale abbiamo terremoti cosiddetti distensivi, ed esempi sono gli eventi di Colfiorito del 26 settembre 1997 e di L’Aquila del 6 Aprile 2009. Al contrario, abbiamo terremoti compressivi nella zona marchigiana, e questo è evidenziato dalla sismicità rinvenuta a circa 20-25 km di profondità.
Che intensità massima è in grado di liberarsi nell’Appennino, sia da dati storici sia da previsioni con le moderne strumentazioni?
Per capire quali magnitudo possiamo aspettarci in Appennino, bisogna considerare che solitamente i terremoti avvengono in zone che in passato sono già state colpite da eventi sismici. Analizzando la sismicità del passato più recente, quella cioè avvenuta in epoca misurabile con gli strumenti, il terremoto della Marsica del 1915 (Mercalli=XI grado, Magnitudo=7) risulta il più forte avvenuto nella zona appenninica. Segue l’evento dell’Irpinia del 1980 (Mercalli=X grado, Magnitudo=6.9). Considerando i terremoti più antichi, quelli avvenuti in età pre-strumentale, bisogna ricordare quello del 1456 in Campania-Molise e quello del 1857 in Campania-Basilicata: per entrambi la magnitudo stimata è prossima a 7. Va poi considerato che anche altri settori dell’Appennino (Mugello, Garfagnana, Forlivese, Val Tiberina, Gualdo Tadino, Val Nerina, Reatino, Frusinate, Aquilano, Maiella, Daunia, Vallo di Diano) sono stati sede di terremoti di magnitudo uguale o maggiore a 6. Si può quindi affermare che nell’Appennino possono avvenire terremoti di magnitudo elevata (fino a 7), così come è avvenuto nel passato.
Ferma restando l’impossibilità, attualmente, di prevedere con precisione il verificarsi di un terremoto, in cosa può aiutare il vostro studio per la comprensione dei fenomeni sismici?
Il modello ottenuto con la tomografia evidenzia che, nella parte intermedia dello strato crostale, al di sotto della catena appenninica, esiste una zona in cui le onde sismiche viaggiano lentamente. Questa bassa velocità è dovuta alla presenza di anidride carbonica (CO2), prodotta più in basso, ma intrappolata in questa zona a circa 10-15 km di profondità, dove origina una diffusa sismicità. La CO2 risale in superficie attraverso le spaccature più superficiali e sembra rappresentare uno dei meccanismi che favoriscono la genesi dei terremoti appenninici.
In cosa le Alpi sono diverse dall’Appennino?
Le Alpi si sono formate circa 100 milioni di anni fa in seguito alla collisione tra Africa ed Europa, uno scontro vero e proprio tra enormi masse continentali. Gli Appennini sono più recenti, essendosi formati circa 20 milioni di anni fa. In questo caso poi, il motore che ha generato la catena appenninica è da ricercarsi nei movimenti della micro-placca Adriatica. La Alpi hanno rilievi più alti proprio perché le masse in gioco e le forze sono state maggiori.
Pioniera nella sismologia, oggi la ricerca italiana in questo campo come è messa?
Siamo ai primi posti a livello mondiale. In un paese sismico come il nostro, solamente una ricerca condotta ad alti livelli può garantire un avanzamento delle conoscenze su come si generano i terremoti e una sempre migliore valutazione del rischio sismico.
Edoardo Massimi

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