Non solo ricercatori presso Palazzo Madama

Manifestazione ricercatori, docenti e studenti di fronte a Palazzo Madama per richiedere una revisione del DDL Gelmini

Sono le 12.30 di mercoledi 19 maggio 2010 e le finestre di Palazzo Madama (Senato della Repubblica), sono chiuse. Pizza Navona è gremita di ricercatori, docenti e studenti provenienti da atenei di tutti Italia per evidenziare una problematica comune: la salvaguardia del sapere in un’ottica di democrazia partecipata e condivisa.
E’ dalle 10.00 che giungono i manifestanti e, nel giro di mezz’ora, le fontane del Bernini si circondano di bandiere, volti giovani e meno giovani, che aspettano l’incontro richiesto con il Presidente del Senato, l’onorevole Schifani, per discutere su eventuali emendamenti al DDL Gelmini.

Il flash mob, ideato da studenti e ricercatori della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Sapienza (striscioni sulle note di fischi assordanti), manda un messaggio forte e chiaro: “La cultura si fa sentire”.
La protesta (sembra riduttivo il termine “protesta” poiché è frutto di una richiesta ragionata di ristrutturazione del sistema universitario) non è corporativa, ma si tratta di un’azione trasversale e congiunta che unisce ogni membro della comunità universitaria. I manifestanti ripetono questo concetto, quasi come un mantra: non si tratta di “coltivare ognuno il proprio orticello”, ma di predisporre un terreno comune per una ristrutturazione del sistema accademico.
I tagli connessi al DDL Gelmini coinvolgono l’intero apparato universitario, nessuno escluso. La manifestazione è stata stabilita nelle assemblee convocate dal CNRU di Milano (partecipazione di 70 atenei) e di Roma (partecipazione di 32 atenei), di fine aprile 2010.
Ricercatori: figura dai contorni nebulosi che richiede un riconoscimento professionale.
La figura del ricercatore non gode di una situazione giuridica definita all’interno della contrattualistica di lavoro. La condizione precaria dei ricercatori, risale alla legge 382 del 1980, la “novità” del decreto attuale è l’assenza di una formalizzazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato.
“ Attualmente i ricercatori (25.0000 in tutt’Italia) svolgono il 50% dell’attività didattica. Noi, dichiara la dott.ssa Annarita Taronna (Scienze della Formazione, Università di Bari), realizziamo 200 ore di didattica frontale (senza contare la didattica integrativa: esami, tesi di laurea, orario di ricevimento), senza un riconoscimento né in termini giuridici, né in termini economici. Si chiede pertanto una convalida sia dell’attività didattica che della produzione scientifica. L’attuale precarizzazione della posizione del ricercatore, penalizza il primo luogo la ricerca stessa, non costo per un paese, ma investimento e sintomo di progresso sociale”.
L’attuale 3 +3 del ricercatore a tempo determinato (sei anni di “lavoro-determinato”) con eventuale chiamata, rende il percorso accidentato e scarso in prospettive, oltre a generare una guerra tra poveri. Ossia tra i “neo ricercatori” e i ricercatori a tempo indeterminato “di vecchio ordinamento” per i quali si prevedono verifiche e il concorso nazionale. Un sistema dunque che assicuri il riconoscimento professionale e la qualità della formazione.

Scettici in merito anche al termine “meritocrazia” il cui metro del tasso di occupabilità dei laureati, non correlato al tessuto sociale e industriale del territorio, può ampliare il divario tra Sud e Nord del Bel Paese.
Ricercatori, docenti, studenti, personale tecnico-amministrativo degli atenei italiani sottolineano come la mancanza di stabilizzazione professionale e di una riforma focalizzata sui tagli, contribuisca a decostruire il sapere e pertanto il progresso sociale e culturale di una nazione.
Amanda Coccetti

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