Parola alla ricerca

I tagli connessi al DDL Gelmini coinvolgono l’intero apparato universitario, nessuno escluso In questi giorni, e, in particolare, dal 5 al 9 luglio 2010, docenti, studenti e ricercatori si uniscono per esprimere il loro dissenso. Di seguito riportiamo le testimonianze dei ricercatori; Gianfranco Bocchinfuso (Tor Vergata), Alesssandro Arienzo (Federico II), Blasco Morozzo della Rocca (Tor Vergata).

I tagli connessi al DDL Gelmini coinvolgono l’intero apparato universitario, nessuno escluso In questi giorni, e, in particolare, dal 5 al 9 luglio 2010, docenti, studenti e ricercatori si uniscono per esprimere il loro dissenso. Di seguito riportiamo le testimonianze dei ricercatori; Gianfranco Bocchinfuso (Tor Vergata), Alesssandro Arienzo (Federico II), Blasco Morozzo della Rocca (Tor Vergata).
Gianfranco Bocchinfuso – Tor Vergata, Roma – “Noi abbiamo l’obbligo di guardare un po’ più in là, e quello che vediamo ci preoccupa”
Gianfranco Bocchinfuso, ricercatore chimico-fisico a tempo indeterminato dell’Università Tor Vergata di Roma, risponde ai nostri quesiti:  “Mi dica un motivo, uno solo, per il quale la Riforma Gelmini la preoccupa così tanto”. “Me ne faccia dire almeno due”. “Primo: l’eliminazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato, cioè la cancellazione dell’unica figura universitaria che strutturalmente ha l’onere della ricerca”. Che, però, ricade sempre sulle spalle di giovani in cerca di futuro.“Il che è un bene!”.
“Perché  è un bene?” “Perché nella ricerca, soprattutto scientifica, si è veramente produttivi sino ai 40/45 anni. Dunque, la terza fascia (che corrisponde alla figura del ricercatore a tempo indeterminato, appunto) è stata introdotta proprio per dare ai giovani la possibilità di produrre scienza in età “acerba” per poi passare, in età matura alla didattica. Con la riforma, la ricerca è demandata a poveri precari con contratti 3+3, con l’unica ambizione, raggiunto il 6, di diventare docenti.
” Gli Atenei, prosegue Bocchinfuso, diventeranno intermediari tra chi il sapere lo alimenta, e chi lo apprende. Così, è morte certa in poco tempo. Inoltre, con il decreto attuale l’unico organo democraticamente rappresentativo, il Senato accademico, viene svuotato delle sue funzioni, che vengono riversate su un CdA”. Come un’azienda. Il CdA si apre la porta ad interferenze esterne”.
Veniamo alla protesta: non la preoccupa l’idea di bloccare la didattica? E il rapporto con gli studenti? “Noi agli studenti dobbiamo spiegare che abbiamo l’obbligo morale di fare quello che stiamo facendo. Noi facciamo parte della classe-guida del Paese di oggi, ed abbiamo l’onere e l’onore di formare quella di domani. Abbiamo l’obbligo umano di guardare un po’ più in là.
E, guardandoci, cosa vede? “Vedo un’Università diversa da quella che abbiamo conosciuto per 150 anni. Un’Università privata elitaria e un rottame d’Università pubblica moribonda e senza forza propositiva. Visto che questa è una cosa che sta succedendo adesso, io non voglio trovarmi tra vent’anni in silenzio quando mio figlio mi chiederà: “Tu, cosa hai fatto vent’anni fa, quando mi stavano facendo tutto questo?”.
Alessandro Arienzo – Federico II, Napoli – “I figli di nessuno non ci saranno più”
Il dott. Alessandro Arienzo, che alla Federico II di Napoli fa il ricercatore in Storia del pensiero politico, spesso viaggia per motivi accademici. Recente destinazione: Città del Messico, per un convegno su “Il Principe”, di Machiavelli. “Tutto a spese mie” ci tiene a precisare. Come spese sue? Non glielo paga l’Ateneo? “(Sorride) Magari. Vede, questo è il paradigma della ricerca universitaria attuale”.
“C’è una selezione naturale, continua Arienzo, in base al censo per poter essere ricercatori”. Cioè? “I figli di nessuno, che non hanno una famiglia solida alle spalle, non possono campare 10/15 anni precari, in attesa d’un concorso che li possa stabilizzare. Non solo viaggi, ma acquisto di  libri, tomi, manufatti. Inoltre precisa, nel nostro settore, quello umanistico, non possiamo nemmeno appoggiarci al conto terzi: non ci sono aziende pronte ad investire su di noi.
E sulla ricerca? ” Il 3+3 non sostituisce gli altri percorsi flessibili, fatti di co.co.co., co.co.pro., stage non retribuiti, fondi europei che arrivano poco e male. Sarà un’esplosione di nuovo precariato su una maceria già fumante da anni”.
In relazione alla sostanza della riforma, il Dott. Arienzo afferma: “Il decreto Gelmini nasce su una convinzione strutturata nell’attuale classe egemone del Paese, e cioè che l’Università italiana sia sovradimensionata. Quindi, deve essere disarticolata, per dare il sapere di tutti in mano a pochi”
. Ma il Paese è con voi? Lo sentite vicino? “Il Paese pensa che l’Università sia solo un ricettacolo di baroni. Sono anni, decenni che chi vuole e può, lo propaganda. Adesso, anche in virtà della distanza che ci divide dalla gente, raccoglie i frutti del suo operato. Ma noi ci siamo. E chi sta con noi, batta un colpo”. Toc!!
Blasco Morozzo della Rocca, Tor Vergata, Roma – “Chiudiamo a settembre per non chiudere per sempre”
La prima volta che ho tentato di parlare con lui, aveva una giornata strapiena di esami orali da valutare. La seconda, aveva pacchi di scritti da correggere. Insomma: nella piccola “storia” della mia intervista al dott. Blasco Morozzo della Rocca, ricercatore biologo a Tor Vergata, c’è il racconto di tutta la didattica che i ricercatori universitari si debbono issare sulle spalle.
Proprio a lui pongo la domanda “fatale”’: ma, questi ricercatori universitari italiani, chi sono? “L’archetipo di ricercatore medio non esiste: siamo talmente tanti, di tanti tipi diversi”. Intanto, ci sono i ricercatori universitari a tempo indeterminato”. La terza fascia. “Proprio quella. Circa 25mila in tutta Italia. Alcuni sono, diciamo, “anziani”, post-quarantenni che vivono con apprensione l’attacco alle loro pensioni e ai loro salari. Poi, ci sono i “giovani”, che alle medesime preoccupazioni aggiungono la prospettiva di lavorare in un Paese che dequalifica la ricerca, che la depotenzia e che li costringerà a lavorare in una sorta di deserto culturale. Per entrambi, la riforma Gelmini prospetta la  “messa in esaurimento”, cioè una morte lenta, con prospettive di carriere inesistenti”.
E questi sono quelli che, in fin dei conti, stanno bene, vero? “E beh, sì, perché poi ci sono i precari. Stime ufficiose ne contano 55-60mila”. Chi sono? “Dottorandi, borsisti, assegnisti, professori a contratto. Tanta, tantissima gente che ha studiato, lavorato anche all’estero, tenuto corsi, pubblicato, tenuto in piedi intere linee di ricerca, e che vivono un precariato già adesso asfissiante”.
E dopo? “Con il ddl le prospettive per loro sono ancora peggiori, visto che la loro stabilizzazione si sposta ancora più avanti negli anni, avendo come primo gradino, (una sorta di miraggio), un contratto 3+3”. Un’ ecatombe di futuro. “Il tutto dentro una Università ancora più verticistica, con le decisioni messe in mano ad un CdA, cioè messe in mano ai soliti ordinari. Che si troveranno a spartirsi sempre meno”.
Chiedo al Dott Morozzo di specificare quest’ultima osservazione: “Il punto che più mi spaventa del ddl Gelmini è proprio questo: ci fanno fare le nozze senza neanche i proverbiali fichi secchi. Non ci sono investimenti. Di nessun tenore. È una gigantesca svalutazione orizzontale, e basta”.
Come vive, in questo contesto,la possibilità di alterare lo svolgimento della didattica a settembre? “E’ un assillo. Un problema che dobbiamo riuscire a comunicare. A lezione, con i miei studenti, ho spiegato la situazione, ed ho raccolto i loro dubbi. Con piacere, ho sentito interesse e solidarietà. Ma sono pochi, solo un piccolo gruppo è al corrente della reale situazione. I mezzi d’informazione, a parte rare eccezioni come voi (grazie!, ndr), non ci aiutano”.
Con i mezzi di comunicazione ci vorrebbe uno slogan. “Beh, se mi costringesse a dirle uno slogan le direi “Chiudere a settembre per non chiudere per sempre”, ma non glielo dico, perché gli slogan sono l’antitesi dei ragionamenti approfonditi”.
Simone Ballocci

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3 comments
  1. Noi studenti (penso di poter parlare per un nutrito gruppo di colleghi) appoggiamo la protesta dei ricercatori e ci auguriamo che possa portare ad un assestamento professionale. Tuttavia pensiamo che gli organi accademici e i docenti (non ricercatori) dovrebbero assicurare uno svolgimento della didattica e non alterare il nostro percorso formativo.

  2. “I figli di nessuno non ci saranno più”, quale panorama più oscuro e privo di speranza di questo? Oggi Curzio Maltese sul Venerdì si chiedeva perché i giovani non protestano, non scendono in piazza. Noi ci siamo in piazza, protestiamo e ci uniamo al movimento dei ricercatori che si stanno mobilitando per salvare la ricerca e pertanto il paese. E’ nostro diritto protestare, ma lo è anche essere salvaguardi dal sistema istruzione che ogni stato democratico e civile ha il dovere morale ed istituzionale di garantire.

  3. Non sono d’accordo con chi afferma che i giovani dovrebbero protestare in modo estremo; ammiro invece i ricercatori e sono solidale con loro per la battaglia che condicono a favore di un paese che faccia della ricerca e dello studio uno dei suoi pilastri fondanti.
    Una studentessa che ancora crede nel futuro.

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