Neet, chi lavora, chi lo cerca e chi no

Si collocano a metà tra gli occupati e i disoccupati. Non hanno un lavoro fisso, ma forse non lo stanno nemmeno cercando. Professano di voler trovare una occupazione, ma hanno smesso di crederci.

Il numero uno di via Nazionale, Mauro Draghi, li chiama scoraggiati, l’Istat inattivi e lo Svimez, associazione per lo sviluppo nel Mezzogiorno, prende in prestito una parola dall’estero: Neet, not in education, employment or training. Ovvero i giovani che non studiano, non lavorano, né lo cercano.
Il termine, usato inizialmente nel Regno Unito, si sta diffondendo rapidamente in altri paesi del mondo specialmente per l’attualità che l’espressione racchiude. Ma anche qui le accezioni derivate da questa parola si affollano una sopra l’altro generando spesso e volentieri significati contrapposti, che stridono l’uno con l’altro. Se per alcuni i Neet sono comunque ragazzi preparati e volenterosi a cui la crisi del mercato ha tolto, diciamo così, la fantasia di cercare un lavoro, per altri sono veri e propri nullafacenti che decidono di sostare sul divano di casa in attesa di tempi migliori.
A lanciare l’allarme ed a far intravedere invece un panorama un po’ più complesso è stata la Confederazione europea delle associazioni giovanili che ha sottolineato come “i giovani italiani restano a lungo intrappolati nel limbo dell’insicurezza, con intervalli senza lavoro e senza reddito che ora tendono a diventare più lunghi e frequenti. Quando il contratto di lavoro non viene rinnovato, l’unico ammortizzatore affidabile resta la famiglia”. Chi entra nella condizione di Neet, insomma, ci resta a lungo oltre che per inerzia anche per scoraggiamento e  assenza di alternative.
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Anna Di Russo

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