Telematiche quale missione?

Inizia il nostro viaggio tra le università telematiche. La prima tappa è sul sito del CNVSU, dove ogni anno il Comitato Universitario fornisce un affresco dell’attuale situazione degli atenei e-learning. E tra pareri positivi e negativi, accreditamento corsi, specifiche tecniche e qualità della formazione ci si accorge che il ruolo e gli obiettivi di queste università sono ancora da definire.

Bistrattate, declassate e chiamate ad esempio del cattivo uso che in Italia si fa dell’e-learning. Le università telematiche non godono di grandi simpatie tra gli addetti ai lavori. Al loro nome spesso sono associati i mali del mondo accademico e i meccanismi non sempre chiari che regolano i concorsi e i loro vincitori. Già il loro numero, 11 solo in Italia, fa storcere la bocca a quanti sono convinti che la diffusione dell’e-learning dovrebbe diminuire il numero degli atenei.
Anche il CNVSU, il Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, incaricato di predisporre una relazione annuale sul loro stato è cauto nel giudicare la loro operatività e l’attività svolta. Nell’ultimo rapporto 2010 “Analisi della situazione delle Università Telematiche” i risultati del processo di valutazione danno da pensare: su 9 pareri espressi al CNVSU, 5 sono stati positivi, uno negativo (risultato positivo in un secondo momento) e 3 ancora negativi.
Al contrario in Europa la tendenza è quella di incoraggiare lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi per le università virtuali e diffondere l’e-learning nel settore universitario per migliorare l’accesso alle risorse di apprendimento e soddisfare specifiche ed ulteriori esigenze quali quelle dei disabili e  della formazione nei luoghi di lavoro. E in un Paese come il Regno Unito il modello sembra funzionare, basterebbe guardare alla Open University dove il numero degli iscritti supera i 180mila. 
In realtà però anche in Italia c’è chi riconosce a queste università una valenza sociale e guarda con interesse a questa nuova forma di insegnamento, sempre se portata avanti con coerenza e rispettando “la missione” per la quale sono nate. Se è vero che alcuni di questi atenei presentano “situazioni di debolezza diffusa” e molti “sono carenti sotto il profilo della loro capacità di attivarsi nel campo della ricerca”, è anche vero che non sempre è fondata la convinzione che le telematiche fanno arrivare prima alla laurea. Inoltre, come sottolineato anche nel rapporto del CNVSU, non tutte le colpe possono essere attribuite a queste strutture.
Ancora oggi in Italia a livello centrale si fatica a individuare e capire quale sia la loro missione. La mancanza di una linea strategica ha portato ad esempio ad inadeguatezze nel riconoscimento degli standard minimi richiesti. Così ci sono domande a cui non si è ancora trovata una risposta. Il comitato nazionale si è chiesto più volte se delle università che fondano la loro esistenza su una nuova tipologia di insegnamento a distanza debbano avere gli stessi obiettivi degli atenei tradizionali o dedicarsi soltanto alla didattica. E se la loro offerta formativa debba riguardare tutti i tipi di studenti o puntare di più a soddisfare le esigenza di particolari gruppi. Insomma sull’argomento le idee sono ancora confuse.
Anna Di Russo

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