Benghazi-Tripoli: coprifuoco digitale contro i blogger

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Le ultime rivolte scorrono sulla rete. I ragazzi scrivono su Twitter, creano gruppi di sostegno su Facebook e caricano video su You Tube. Così gli scontri, le repressioni ai danni della popolazione e dei giovani universitari sono in presa diretta e nessuno anche in Occidente, può fare finta di non sapere.

Da Benghazi a Tripoli i regimi cercano di sopravvivere attaccando la popolazione in rivolta, ma la loro vera sconfitta la segnalano i social network. Le autorità libiche bloccano le connessioni ad internet, ma la rete continua a chiedere le dimissioni del colonnello Gheddafi. In Iran le forze di sicurezza sopprimono un sit-in nel campus della facoltà di Scienze di Shiraz, eppure su You Tube sono già disponibile le immagini girate dai cellulari. 

E’ il tam tam della rete ad alimentare le proteste, a far scendere in piazza e a far saper agli studenti iraniani che due giorni fa un loro collega, Hamed Nourmohammadi, è stato ucciso durante una manifestazione antigovernativa a Shiraz. I siti d’opposizione poi alimentano il grande flusso di informazioni e non intendono tacere. Tutti devono sapere che nel caso di Nurmohammadi la morte non è stata accidentale. Forze paramilitari basij l’hanno percosso e poi spinto giù da un ponte.

E prima ancora che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Lega Araba – sotto richiesta di Amnesty International, la nota organizzazione internazionale per i diritti umani – inviino una missione in Libia per indagare sulla repressione dei manifestanti, i social network avranno già redatto il loro rapporto, a colpi di messaggi postati o video inviati. Un archivio difficile da cancellare.

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