Professione giornalista

La cosa più sbagliata è quella di considerare gli studi sociologici come un parcheggio, una sorta di strada da percorrere mentre siamo ancora indecisi su cosa fare da grandi…

La cosa più sbagliata è quella di considerare gli studi sociologici come un parcheggio, una sorta di strada da percorrere mentre siamo ancora indecisi su cosa fare da grandi. La laurea in questa disciplina a Michele Ruschioni, oggi direttore di Noiroma.it e docente di giornalismo, gli ha consegnato brevi manu gli strumenti per affrontare qualsiasi tipo di percorso.

Una laurea in sociologia e poi…Come sei arrivato al giornalismo?
E’ arrivato primo il giornalismo e poi la facoltà di Sociologia. Ho avuto una grandissima fortuna: avere le idee molto chiare ancor prima di iscrivermi al corso di Laurea che ho poi concluso.

C’è stata una coerenza tra i tuoi studi e il lavoro che oggi svolgi?
Assolutamente si. Anche se i vecchi giornalisti di un tempo, quelli per intenderci forgiati a suon di articoli scritti con la Lettera 22, vorrebbero che il mestiere si imparasse sopratutto sul campo. Il che è vero, ma solo in parte. Ad una buona pratica, alla sana e edificante gavetta nelle piccole redazioni, va affiancato, oggi, un serio e costruttivo percorso di studi. La teoria è importante. E secondo me, guardando l’offerta dell’università pubblica, il corso di laurea in sociologia è il migliore. Meglio di Lettere e meglio, molto meglio, anche di Scienze delle Comunicazioni.

La disoccupazione è in crescita in tutte le fasce di laureati. I disoccupati non escono, quindi, solo da sociologia?
La disoccupazione colpisce chi non ha le idee chiare e spera che con la laurea si possano spalancare, in maniera automatica, le porte del mondo del lavoro. Nulla di più mendace. Se passa questo messaggio ci ritroveremo con neolaureati disoccupati e depressi. Insomma un mix che non auguro a nessuno. Cosa fare allora: cercare l’idea guida e far si che quello che si studia, fossero anche bislacche teorie sui massimi sistemi, abbiano un appiglio sulla realtà di ogni giorno e in quella, assai pragmatica, del mondo del lavoro. Le aziende sono a caccia di persone con questi requisiti. Ma certo è giusto avere la consapevolezza che i tempi sono duri per tutti.

Quale valore aggiunto ti hanno lasciato questi studi?
Utilizzo spesso questa metafora un po’ cruda ma che rende l’idea: la sociologia mi ha aperto la mente, esattamente come un apriscatole fa con i barattoli. Il riferimento all’apriscatole non è casuale. Alcuni esami e alcune materie, se non avessi dovuto studiarle per forza, non le avrei mai affrontate e approfondite. Questa apertura mentale, unita ad una sana creatività che viene stimolata da questi studi, mi ha dato la forza per superare i tanti ostacoli incontrati durante il mio percorso professionale.

Cosa consiglieresti ai ragazzi che stanno per iscriversi all’area sociologica?
Chi si iscrive a questa facoltà ha di solito un sogno nel cassetto. Utilizzate questi studi per realizzarlo e se non doveste riuscirci sono certo che, mentre percorrerete la vostra strada, vi compiranno innanzi altre vie, altri percorsi ed altre possibilità. Noi laureati in sociologia, diversamente da altri, sapremo cogliere queste opportunità. Perché siamo più bravi? No. Semplicemente siamo più malleabile e capaci di leggere i cambiamenti del nostro incasinatissimo mondo.

a.d.r.

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