Titoli di studio, carriere senza laurea

“Il valore legale del titolo di studio garantisce la peggiore eguaglianza: quella della mediocrità”. Sulle pagine del Corriere della Sera, Sergio Romano qualche giorno fa commentava così i certificati di laurea rilasciati dalle università italiane

“Il valore legale del titolo di studio garantisce la peggiore eguaglianza: quella della mediocrità”. Sulle pagine del Corriere della Sera, Sergio Romano qualche giorno fa commentava così i certificati di laurea rilasciati dalle università italiane e il ruolo dello Stato di affidare  troppi compiti agli atenei. In realtà il governo Monti ha deciso di riprendere in mano la questione e di trovare una linea comune anche attraverso lo strumento delle consultazioni pubbliche. Nel nuovo decreto legge sulle semplificazioni sono stati, infatti, inseriti numerosi punti che riguardano l’Università e tra gli argomenti più controversi è finito il valore legale dei titoli di studio.

La proposta riguarda l’eliminazione del vincolo del tipo di laurea per i concorsi pubblici e l’opportunità, o meno, di continuare ad utilizzare il voto di laurea come titolo nelle selezioni. E se uno guarda ad uno dei principali fili conduttori del governo Monti, ovvero il merito, capisce il perché la laurea sia stata presa di mira.

La proposta, secondo alcuni,  prenderebbe spunto da un’idea, ormai molto radicata, secondo cui le università italiane sono dei “cloni uniformi” di un modello fissato dalla legge. Un modello che nella scelta dei quadri dirigenti della pubblica amministrazione porta a far valere molto di più il pezzo di carta rispetto alla capacità e alla professionalità del singolo concorrente.

Ma ad essere messo sulla forca, sarebbe anche il voto di laurea che non darebbe giustizia, nei concorsi e nelle selezioni pubbliche, a quegli studenti laureati in atenei eccellenti, ma più rigorosi e stretti di manica nell’assegnare 110 e “lodi”. Atenei, tra l’altro, dai quali provengono sia il presidente Monti che il ministro Profumo, a capo di due delle migliori università’ italiane, la Bocconi e il Politecnico di Torino. Entrambi conoscono perfettamente la situazione italiana e la differenza con l’estero, dove i requisiti di carriera sono fissati non sul titolo universitario ma sulle capacità e le conoscenze del singolo.

I due professori comunque stanno cercando di non sbilanciarsi, sentendo un po’ in giro gli umori generali. Monti ha così lanciato una consultazione pubblica sul web, esprimendosi sui diversi criteri di valutazione presenti nei vari centri di studio. La sua esperienza all’interno delle università lo ha portato ha dichiarazioni del tipo << gli atenei non sono tutti allo stesso modo rigorosi>>, il che fa intendere che forse il voto di laurea crea  spesso, per il professore, un’equivalenza superficiale e non reale.

A parlare, invece, di <<valore del titolo di studio per il Paese >> è il ministro dell’Istruzione Profumo che fa una distinzione tra il privato e il pubblico. Nel pubblico impiego, secondo il ministro, il valore legale del titolo di studio non è stato impiegato nel modo migliore. I suoi riferimenti negativi sono lo scorrimento di carriera in base al titolo di studi e il loro conseguente mercato. Un suo ripensamento, e quindi non una sua abolizione, potrebbero portare a rivedere alcuni meccanismi fallati.

Su una linea diversa si collocano molti studenti,  per i quali il titolo di studio  resta un biglietto da visita, la base fondamentale sulla quale costruire l’ingresso nel lavoro e nella società, mentre per le famiglie uno status che fa la differenza della vita. Per non parlare poi dei due terzi delle oltre 100 università italiane, che legano la loro sopravvivenza a quel pezzo di carta, senza il quale non avrebbero senso e modo di esistere.

Anna Di Russo
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