FOCUS – Nord contro Sud: i laureati italiani e il divario incolmabile

Nord contro Sud, anche nel campo universitario. Dopo le polemiche tra gli Atenei meridionali, che lamentavano una scarsa considerazione da parte del ministero per l’assegnazione di fondi, ecco il rapporto Almalaurea, che considera il profilo classico del laureato italiano. Il dato di fondo resta una progressiva differenza delle opportunità lavorative per i neo laureati fra Nord e Sud Italia.

Tra le due zone d’Italia, insomma, il divario è di 17 punti percentuali – scrive in una nota Almalaurea. Un risultato che addirittura aumenta rispetto a quanto rilevato nella precedente indagine. Facciamo due conti: tra i giovani laureati del Nord il tasso di occupazione è del 52, 5 %, contro il 35 % del Sud. I risultati, inoltre, non tengono conto dalla sede universitaria dove i giovani hanno completato i propri studi. Questo comporta una maggiore specializzazione tra gli studenti meridionali, che si iscrivono a un corso di secondo livello nella speranza di un ulteriore sbocco lavorativo.

Al Centro, invece, l’occupazione è al 47 %. Ma quali sono le aree dove si accentuano maggiormente queste differenze? Educazione fisica, linguistica, economia e statistica sono i campi dove il divario arriva a toccare i 24 punti percentuali.

Le differenze, inoltre, si basano anche sul genere: le donne al Sud sono quelle più svantaggiate: 10 punti in meno nell’occupazione rispetto al Nord. Per non parlare della retribuzione: gli uomini al Sud guadagnano il 41 % in più delle loro colleghe, contro il 26 % nelle aree settentrionali.

La ricerca di Almalaura conferma anche la tendenza che vede più elevati i guadagni mensili netti dei laureati al Nord (1.086 euro) rispetto alle regioni centrali (1.001 euro) e soprattutto nel Mezzogiorno (900 euro). Rispetto alla precedente rilevazione anche le retribuzioni risultano in diminuzione in tutte le aree considerate, dal 2,5% al Nord al 5% al Sud. Se si tiene conto del mutato potere d’acquisto dei laureati, registrato nell’ultimo anno, le differenziazioni si accentuano ulteriormente: rispetto allo scorso anno figurano infatti in calo del 5% al Nord e di quasi l’8% al Sud.

Ma chi trova lavoro non sempre è fortunato al Sud: quasi la metà dei giovani laureati, prosegue la stessa attività lavorativa intrapresa prima di completare gli studi: tra i colleghi settentrionali la quota si abbassa al 30 %. Le attività non regolamentate, infine, triplicano nel Mezzogiorno. Un Paese diviso, insomma, anche per i laureati.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, “questi dati confermano che l’Italia viaggia sempre più a due velocità: al punto che nemmeno il titolo di studio più elevato, la laurea, riesce a garantire il posto di lavoro. Il gap di quasi 20 punti percentuali parla da solo. Ci sono comunque alcune considerazioni da fare. La prima è che il divario ha origine nella differenza di investimenti tra le diverse aree del Paese. Vale per tutti l’esempio di quanto è accaduto in Sicilia nel 2012, dove la mancanza di risorse e di mense scolastiche ha prodotto un tempo pieno nella scuola primaria solo per il 3 per cento degli alunni. Nello stesso anno il tempo pieno in Lombardia era presente nel 90 per cento delle scuole primarie”.

“C’è poi il problema della diversa ricezione degli investimenti, a causa del differente tessuto industriale. Un caso per tutti è quello dei tentativi mancati per una formazione più di qualità. Basti pensare – sostiene il sindacalista Anief-Confedir – all’abbattimento dei fondi destinati a combattere l’abbandono scolastico. Ma anche alle promesse mai mantenute su un migliore orientamento per le iscrizioni successive alla licenza media e dell’obbligo formativo da posticipare fino a 18 anni. Oppure al mancato decollo dell’apprendistato”.

“In queste condizioni – continua Pacifico – è normale che le zone tradizionalmente più in difficoltà vadano ancora più a fondo. E non riescono più a reggere il passo. Perché è storicamente provata la forte associazione tra povertà, bassi livelli di istruzione, modesti profili professionali ed esclusione dal mercato del lavoro. Non è una sorpresa, quindi, scoprire che al Meridione vi sono i più alti tassi di abbandono scolastico in età di obbligo formativo. Con il risultato che negli ultimi cinque anni tra il Sud e le Isole si sono persi 150mila alunni – con Molise, Basilicata e Calabria che accusano riduzioni tra il 7% e il 9% – mentre al Nord c’è stato un incremento di 200mila iscritti”.

Raffaele Nappi

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