Solo il 6 % dei ricercatori in Italia è assunto: cronaca di una disfatta

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Dal 2004 a oggi la percentuale degli “espulsi” dal sistema universitario è del 93,3%.  Su 100 ricercatori che entrano nel mondo della ricerca, quindi, solo 6 saranno assunti. Ecco i dati del rapporto FLC CGIL presentanti nel documento Ricercarsi: un’indagine del sindacato sul mondo della ricerca e del precariato universitario.

Meno posti, più precari: ecco i numeri della ricerca in Italia. Nel 2014 l’Università italiana ha perso per strada più di 2.000 tra docenti e ricercatori, mentre gli assegni di ricerca annuali sono passati da 6000 a 14000.  E il futuro non è roseo. Sì, perché il 1° gennaio 2015 scadono numerosi assegni di ricerca: il sistema creato dalla riforma Gelmini del 2011, infatti, ha creato una serie di contratti rinnovabili solo per 4 anni, pena l’espulsione dal mondo accademico. E lo stesso sarà anche l’anno prossimo, sempre grazie alla legge 240/10.

L’esodo di massa, il fenomeno dei cervelli in fuga, quindi, sembra spiegato, giustificato, quasi compreso. Già oggi, secondo i dati racconti dalla FLC CGIL, oltre il 60 % dei ricercatori ha la propensione ad andare via dall’Italia. E il governo attuale sembra non voler cambiare direzione: si tratta del comma 98 dell’articolo 2 della Legge di Stabilità. Cosa succede nello specifico? Il numero e il tipo di docenti in ciascun Ateneo viene determinato oggi in base ai punti organico. 1 punto per un ordinario, 0,7 per un associato, 0,5 per un ricercatore di tipo A (5 anni non rinnovabili) e 0,7 per un ricercatore di tipo B (3 anni con successiva conversione in ruolo di associato). Ogni volta che un docente va in pensione i punti organico tornano al dipartimento di appartenenza, che decide così come reinvestirli. Ad oggi, per ogni posto da ordinario, si è obbligati a bandire anche un posto per ricercatore di tipo B, per garantire così un numero minimo di assunzioni a tempo indeterminato.

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E il punto è questo. La legge di stabilità elimina il vincolo di assunzione di un ricercatore di tipo B (l’unico con prospettiva di stabilizzazione), a fronte dell’assunzione di un nuovo ordinario. Se il comma verrà approvato, quindi, ogni volta che si bandirà un posto da ordinario per essere in regola basterà assumere un ricercatore di tipo A (a scadenza breve).

La soluzione? “E’ indispensabile superare il limite temporale dei 4 anni per gli assegni di ricerca e quello dei 5 anni per i ricercatori a tempo determinato di tipo A fino alla definizione di un nuovo sistema di reclutamento e con l’impegno da parte del Governo a finanziare subito nuove assunzioni a tempo indeterminato, che permettano di salvare l’Università” – scrive il sindacato.

Per invertire la tendenza bisogna quindi avviare un “profondo ripensamento del sistema di reclutamento”. Come?”Eliminando il contratto di assegno di ricerca, senza diritti né tutele, l’assurda divisione in ricercatori di tipo “A” e “B”. Fino ad arrivare a un grande piano di assunzioni per posti stabili che consenta “di invertire questa distruttiva tendenza: il problema dei precari è oggi il problema della tenuta del sistema universitario” – conclude il sindacato.

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