Cosa significa laurearsi in tempo di crisi?

I numeri, di solito, non mentono mai. E allora analizziamoli con attenzione, per capire lo stato dell’Università italiana: a parlare è il XIV Rapporto Almalaurea. Il consorzio interuniversitario ha sviluppato un’indagine che coinvolge più di 215mila laureati dell’anno 2011 (circa l’80 per cento di tutti i laureati nel 2011 nelle università italiane).
Hanno preso parte all’indagine 61 degli Atenei aderenti ad ALMALAUREA. Nonostante il contesto negativo, dal rapporto emergono alcuni segnali rassicuranti: si riduce l’età di conseguimento del titolo, aumenta il numero di esperienze di tirocinio riconosciute dal corso di studi e cresce la disponibilità a cercare lavoro all’estero; infine, aumenta l’attrattività del nostro sistema per i laureati di altri paesi.
Il rapporto evidenzia “come la risposta alla crisi del nostro paese, nei suoi tratti rilevanti per i neolaureati, si sia differenziata rispetto a quella degli altri paesi europei: tra il 2008 e il 2010, mentre questi ultimi hanno visto crescere la quota di occupazione nelle professioni ad alta specializzazione, complice anche una dinamica insoddisfacente degli investimenti fissi, il nostro paese ha visto realizzarsi il contrario”.
almalaurea crisi
 
 
FALLIMENTO 3+2? A questo proposito – scrive Almalaurea -, preme qui ricordare che la documentazione sin qui raccolta non consente di affermare che la riforma sia stata un fallimento. Piuttosto su diversi fronti essa ha fatto segnare significativi miglioramenti della performance del sistema universitario, finalmente riconosciuti anche da gran parte degli originari censori della riforma. Miglioramenti che non devono certo fare dimenticare i numerosi ambiti sui quali occorre ancora intervenire.
82 immatricolati su 100 vengono da famiglie i cui genitori non hanno esperienza di studi universitari e 17 immatricolati su cento abbandonano nel corso dei primo anno di università, con punte più elevate nei percorsi di studio scientifici, nei settori cioè dove il Paese fa registrare il ritardo più consistente nel confronto internazionale. Nel 2004 la percentuale di abbandoni nei primi 12 mesi riguardava quasi 21 immatricolati su cento (MIUR-CNVSU, 2011).
TROPPI LAUREATI IN ITALIA? È certo che il numero delle lauree è lievitato, passando dalle 172 mila del 2001 alle 289 mila del 2010; ma, come si vedrà più avanti, a lievitare, più che i laureati, sono stati i titoli universitari. Il dubbio che a tale incremento corrisponda un eccesso di laureati è stato più volte riproposto, anche nell’ultimo decennio. Sfortunatamente – continua il rapporto -, si tratta di una dinamica che ha consentito al Paese di stare al passo con gli altri paesi, non di recuperare il deficit con questi ultimi tuttora esistente, che ci vede penalizzati soprattutto nelle fasce di età adulta. Se poi si utilizza come termine di confronto il documento Europa 2020 (European Commission, 2010), la consistenza del deficit di istruzione superiore in Italia risulta evidente: attualmente circa il 20 per cento della popolazione di età 30-34 anni è in possesso di laurea contro un obiettivo europeo del 40 per cento per il 2020, traguardo evidentemente non raggiungibile.
COLPA DEL CALO DEMOGRAFICO – Il nostro Paese, nel periodo 1984-2009, ha visto contrarsi di quasi 370 mila unità la popolazione diciannovenne (meno 38 per cento rispetto all’inizio del periodo). Né lo scenario è destinato a migliorare; nei prossimi 10 anni i diciannovenni, nonostante l’apporto robusto di popolazione immigrata, non aumenteranno.
Il rapporto fra immatricolati all’università (indipendentemente dall’anno di acquisizione del diploma) e diplomati dell’anno scolastico precedente evidenzia un calo consistente di oltre 9 punti percentuali, passando dal 73 del 2003 al 63 del 2009 (ISTAT, 2011). L’indicatore utilizzato restituisce così un messaggio preoccupante: quello di una minore attrazione dei giovani verso lo studio universitario, che sembra trovare conferme autorevoli anche in recenti indagini a scala europea.
Dunque il calo delle immatricolazioni, ridottesi tra il 2003 e il 2011 del 15 per cento, risulta l’effetto combinato del calo demografico, della diminuzione degli immatricolati in età più adulta e del deterioramento della condizione occupazionale dei laureati. A tali fattori si sono aggiunte la crescente difficoltà di tante famiglie a sostenere i costi diretti ed indiretti dell’istruzione universitaria e una politica del diritto allo studio ancora carente. Né, come si è già visto, lo scenario sotto il profilo demografico è destinato a migliorare.
NUMERI E TITOLI: CHI VINCE? – Come già è stato posto in evidenza nei Rapporti ALMALAUREA, in Italia a lievitare, più che i laureati, sono stati i titoli universitari, passati dai 172 mila del 2001 ai 289 mila del 2010. Un aumento del 68 per cento, in larga parte dovuto alla duplicazione dei titoli (triennale seguita dalla specialistica). Assai più contenuto risulta il processo di universitarizzazione, espresso più propriamente in anni di formazione portati a termine, che registra un incremento del 19 per cento.
Seppure ridimensionata, la crescita del numero di laureati nel nostro paese ha certamente elevato la soglia educazionale della popolazione estendendo la possibilità di valorizzare le eccellenze. Ma allo stesso tempo la confusione tra “laureati” e “titoli di studio rilasciati” ha contribuito a rafforzare la convinzione che la consistenza dei laureati fosse diventata non solo superiore alle necessità del Paese ma perfino più elevata di quella registrata nel complesso dei paesi più avanzati (OCSE).
Il quadro che viene restituito dai risultati raggiunti dai laureati che hanno concluso i loro studi nel 2011 conferma una situazione complessivamente confortante: si è incrementata la quota di giovani che terminano gli studi nei tempi previsti, è aumentata la frequenza alle lezioni, si è estesa l’esperienza di stage e tirocini svolti durante gli studi, così come le opportunità di studio all’estero.
Ecco il Rapporto completo Almalaurea laurearsi al tempo della crisi

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