La proposta: "Le Università costringano i ragazzi a studiare in inglese"

“Le Università costringano i ragazzi a studiare in Inglese”. Parla così Elena Stanghellini, delegata per il settore Relazioni internazionali dell’Università di Perugia, e docente di Statistica, in un colloquio con Linkiesta.
Il punto centrale è chiarissimo: gli studenti italiani restano indietro se non conoscono la lingua inglese. “Non si possono mandare gli studenti incontro al mondo se in quel mondo non sanno capire e farsi capire. È uno dei nostri grandi gap. Tutta Europa è orientata verso il bilinguismo. Da noi la lingua inglese è ancora “vietata” nelle università“.
La lingua, infatti, rappresenta un punto fondamentale per la conoscenza del mondo e l’introduzione nel mercato del lavoro, anche e soprattutto a livello europeo: “È imprescindibile, non si può più fare a meno. Anzi. Noi pensiamo ancora solo all’inglese quando in realtà dovremmo preoccuparci di conoscere anche un terzo idioma“, avverte Stanghellini. “Il tedesco è sempre più richiesto, lo spagnolo va conosciuto a un livello B2 (intermedio, ndr) perché sia utile”.
A fermare l’Italia ci si mette anche la burocrazia. “La docenza di una materia in inglese nei corsi obbligatori è permessa solo se viene garantita la duplicazione in italiano. Cioè si deve istituire un altro corso con lo stesso contenuto ma in italiano. Il che significa che lo stesso docente deve tenere per due volte lo stesso corso, oppure l’università deve impiegare un’altra risorsa”.
In Italia, però, si attiva quella che è una vera e propria resistenza culturale: “Il nostro sistema, di fatto, offre una via di fuga agli studenti. L’idea è quella di garantire sempre la possibilità di svolgere un percorso formativo interamente in italiano. In altre parole, l’apprendimento in inglese non deve mai essere obbligatorio. È come se lo Stato dicesse: ti evito di passare dalla forca caudina dell’inglese. Ma in questo modo, se permetti di ignorare qualcosa di indispensabile quanto la matematica, non si preparano gli studenti, si azzoppano”.
La questione va avanti da tempo. Al Politecnico di Milano ci ha provato il rettore, Giovanni Azzone, ad aggiungere corsi per gli studenti in sola lingua inglese. Ma i professori si sono ribellati, e hanno fatto ricorso al TAR. “Non tutti i docenti sarebbero pronti al passaggio, si abbasserebbe notevolmente la qualità dell’insegnamento e infine, ci sarebbe la necessità di salvaguardare la diffusione della cultura italiana attraverso la lingua” – queste le motivazioni. Ma la decisione, ora, passa alla Corte Costituzionale.
“Quel che finora si è detto, di fronte a simili proposte, è che lo studio in inglese porterà a dimenticare il corretto uso dell’italiano”. Per Elena non è affatto così. “È un errore logico di fondo. Studiare in inglese per una parte del proprio percorso formativo non ci farà mai dimenticare un corretto uso dell’italiano. Mai sentite polemiche in Svezia sull’importanza di avere solo corsi di laurea in svedese. Sono oltre. Il futuro sarà passare da una lingua all’altra con flessibilità e disinvoltura. Nei paesi nordici, succede anche agli autisti degli autobus”.
L’idea di fondo, comunque, resta semplice: non occorre sostituire tutti i corsi in inglese, ma affiancarli. Perché di una cosa Elena è sicura: “Il futuro è multilingue”. Perché l’Italia non si adatta?
 
 

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1 comment
  1. Ma basta con questa fissazione innaturale e assurda! “Costringano, costringano”…In un’epoca di liberalizzazioni totali…!
    Certo che quanti più italiani conoscono l’inglese tanto meglio è, ma, per questo scopo, altri sono i mezzi!
    Nelle Università italiane le lezioni si fanno in lingua italiana!
    Mario Strano

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