Onde gravitazionali, il contributo italiano alla teoria di Einstein. I ricercatori: "Abbiamo vinto"

Il premio Nobel per la fisica è stato assegnato a Rainer Weiss, Barry Barish e Kip Thorne per la rilevazione delle onde gravitazionali annunciata all’inizio dell’anno scorso. È momento emozionante per la fisica fondamentale, che corona un percorso tutt’altro che lineare durato un secolo. Ma la ricerca sulle onde gravitazionali parla anche italiano, e lo fa a Roma e a Napoli. La storia si apre nel 1915, all’inizio della Grande Guerra, quando Albert Einstein, già riconosciuto fra i massimi fisici del tempo, pubblica le equazioni di una stranissima teoria che prevede che lo spazio in cui siamo immersi si possa deformare come gomma dura. Lui stesso nota subito che potrebbe anche vibrare come una corda di violino o un bastone di ferro, e quindi trasmettere onde. Ma presto cambia idea e scrive un articolo per dire che queste onde non esistono. Poi cambia idea di nuovo, e scrive un altro articolo per dire che sì, dovrebbero esistere.
Gli esperimenti
Nei decenni successivi i fisici sono confusi, e discutono sulla realtà o meno delle onde gravitazionali. Feynman parteggia per l’idea che siano reali. Altri dissentono: se lo spazio vibra, noi vibriamo con lui e non ce ne accorgiamo… La faccenda si chiarisce solo negli anni 60, quarant’anni dopo i dubbi di Einstein: un teorico austro-inglese, Hermann Bondi, mostra che con le onde gravitazionali si può in linea di principio fare bollire un pentolino d’acqua, e finalmente tutti si convincono: la teoria prevede che lo spazio possa portare vibrazioni simili alle onde elettromagnetiche. Increspature sullo spazio come su un lago mosso dal vento. Chiarito questo, ci si chiede se possiamo vederle davvero. Ce ne sono veramente, che corrono nello spazio interstellare? Un fisico americano, Joe Weber, costruisce un enorme cilindro di metallo, con l’idea che le onde di spazio possano metterlo in vibrazione, e si convince di averle viste: ma non convince nessun altro e finisce per essere sempre più isolato e scorbutico. Ma oramai la ricerca è partita.
Il contributo italiano
L’Italia è all’avanguardia nel campo della fisica. Edoardo Amaldi, padre nobile della grande scuola di fisica romana intuisce l’importanza e la fattibilità dell’impresa e promuove la linea di ricerca italiana per rilevare le sfuggenti onde. Si costruiscono in Italia prototipi di antenne. A Frascati, più tardi a Legnaro, presso Padova. Si continua con l’idea di Weber delle grandi barre di metallo, ma si cercano anche altre idee. Ricordo da ragazzo, giovane studentello di fisica, Massimo Cerdonio e Stefano Vitale che mi mostravano nel dipartimento di fisica di Trento un bussolotto oscillante con dentro un anellino superconduttore: prototipo di un’altra idea di antenna. Cerdonio costruirà poi l’antenna di Legnaro, Vitale guida oggi il più spettacolare progetto internazionale di antenna gravitazionale previsto per il futuro: Lisa, un’antenna fatta di satelliti in orbita solare. 

Il progetto Virgo
Virgo è il nome dell’antenna che lo scorso agosto ha registrato fisicamente le onde teorizzate dal genio di Einstein. Una struttura di due antenne da 3 km l’una entrato in funzione nel 2007 e da quest’anno ha iniziato a catturare segnali dallo spazio. Il progetto, nato trent’anni fa e finanziato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare con 300 milioni, ha permesso le sperimetazioni che hanno contribuito all’affascinante scoperta ma tutto è partito dal Dipartimento di Fisica dell’Università Federico II dove lavorano il pool di scienziati che gestiscono le antenne. Pioniere del progetto il prof. Leopoldo Milano, ora in pensione, la cui eredità è stata raccolta da Leonardo Merola del Dipartimento napoletano, e Giovanni La Rana dell’Infn. La squadra è formata da Enrico Calloni, Rosario De Rosa, Tristano Di Girolamo, Aniello Grado e Martina De Laurentis. Il progetto di Virgo si era fermato nel 2011, quando con la crisi economica incalzante gli Stati europei non rininanziarono il progetto; ora invece sotto la spinta del network che si creerà tra il futuro impianto in India e in Giappone, il gemello italiano è tornato a pieno regime portando al Nobel per la Fisica condiviso tra tutti gli uomini e le donne che hanno participato a questa fondamentali ricerca per l’umanità. 

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