Governo scrive male il bando: saltati 6mila finanziamenti per associati e ricercatori

L’ennesima beffa alla ricerca: su 45 milioni stanziati per 15mila finanziamenti a ricercatori e professori associati dell’università, solo 9mila si sono trasformati in borse di ricerca: il 35% andato perduto per il bando prevedeva un tetto massimo di assegnatari a prescindere dal numero dei partecipanti. E così, come rivela Lorenzo Vendemiale su ilfattoquotidiano.it, 6mila domande sono state bocciate anche se in teoria erano disponibili oltre 5mila posti da assegnare. Una storia che inizia a fine 2016, quando il governo istituì nella Legge di Bilancio il nuovo Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca (Ffabr): 45 milioni in più da spendere su progetti di vario ambito, una misura che avrebbe dovuto aiutare gli atenei del nostro Paese, alle prese con una cronica mancanza di risorse. Non tutti furono proprio entusiasti della notizia: la Fisv, Federazione Italiana Scienze della Vita, parlò di “paghetta per i ricercatori”. Ed in effetti sono solo 250 euro al mese, non proprio una fortuna. Ma si trattava pur sempre di una buona opportunità per incrementare i pochi fondi a disposizione per la ricerca. Il progetto era tenuto in gran considerazione dalla ministra dell’Istruzione e della Ricerca Valeria Fedeli, tanto che lo inseriva all’interno delle linee programmatiche del suo mandato. 
L’Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca a cui era stato affidato il compito di selezionare le liste dei meritevoli, negli scorsi giorni ha pubblicato l’esito del suo lavoro. Scorrendo gli elenchi degli assegnatari, però, si fa una amara scoperta: i vincitori non sono 15mila, come ci si aspettava e come prevedeva esplicitamente il bando da 45 milioni di euro, ma molti di meno. Per la precisione, 9.446, di cui 7.124 ricercatori e 2.342 professori associati, le due categorie a cui era rivolto il finanziamento. Viene da pensare, in un primo momento, che gli svogliati accademici italiani non si siano neppure degnati di inviare la propria candidatura alla grande occasione che gli era stata concessa dal governo. Ma non è così: le domande, fa sapere l’Anvur, sono state 17.308, comunque più del numero dei posti messi a disposizione.
Cosa è andato storto, allora? Molto semplice: il bando. I paletti fissati dall’esecutivo, di fatto, rendevano praticamente impossibile l’assegnazione di tutte le borse. Il governo ha voluto che ci fossero dei criteri di selezione ma invece di prevedere delle semplici graduatorie, con la vittoria di tutti quelli in posizione utile, ha voluto introdurre una percentuale massima di assegnatari: poteva ricevere il finanziamento soltanto il 75% dei ricercatori e il 25% dei professori associati candidati. Per far sì che ci fossero 15mila vincitori con questi criteri, avrebbero dovuto presentarsi praticamente tutti i ricercatori e professori associati d’Italia. Cosa che ovviamente non è avvenuta dato che c’erano anche delle clausole di esclusione: aver ricevuto altri finanziamenti, essere a tempo parziale o in aspettativa. Togliamo i ricercatori precari (ce ne sono circa 4.500 in Italia), gli accademici già impegnati su altri fronti, o magari semplicemente non interessati, ed ecco che la platea dei partecipanti si riduce fisiologicamente. Alla fine hanno partecipato in 17mila, il 48% dei ricercatori, il 45% degli associati: praticamente uno su due degli accademici italiani, una risposta anche positiva per la prima edizione del bando. Ma insufficiente ad assegnare tutte le borse, visti gli assurdi paletti: mancano all’appello 5.554 finanziamenti. Ed è andata pure bene che l’alto numero di pari merito in graduatoria abbia fatto sforare leggermente le soglie del 75% e del 25% (sono state esattamente del 77,8% e del 28,7%), altrimenti sarebbero stati anche di più. Il risultato è che dei 45 milioni di euro già stanziati, soltanto 28,4 verranno utilizzati per la ricerca nei prossimi mesi: sono persi oltre 16,6 milioni di euro. Unica consolazione è che questi fondi finiranno nel Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) delle università italiane, andando a finanziare non soltanto progetti di ricerca ma anche personale e costi degli atenei italiani. 

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