Nei prossimi 10 anni c'è il rischio di perdere un milione di studenti

Roma, 11 ott. (Apcom) – Lo sciopero della scuola di venerdì scorso contro i tagli al settore, indetto da Flc-Cgil per un’ora e da Usi-Ait e Unicobas per l’intera giornata, ha comportato la chiusura di alcuni istituti a causa della mancanza di collaboratori scolastici che hanno aderito alla mobilitazione. In questi casi gli alunni non sono nemmeno potuti entrare ed “in una scuola di Borgo a Mozzano (Lucca) – riporta oggi il periodico Tuttoscuola – si è sfiorata la tragedia: un bambino di sette anni, rimasto fuori della scuola, chiusa per sciopero, si è messo in strada per tornare a casa”. Il bambino “ha percorso da solo alcuni chilometri – continua la rivista specializzata in istruzione – attraversando anche un passaggio a livello, poi è stato visto da una conoscente che lo ha riaccompagnato a casa. I genitori hanno sporto denuncia. Si tratta di un caso limite, ma che fa capire quanto sia delicata la questione”. Tuttoscuola si chiede come un semplice sciopero dei collaboratori scolastici possa produrre “l’effetto ultrattivo di bloccare l’intera attività didattica, pur essendovi la disponibilità degli insegnanti per svolgerla. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa la Commissione di garanzia (legge 146/1990), visto che le attività della scuola – conclude la rivista – rientrano tra i servizi essenziali tutelati dalla legge per garantire diritti costituzionalmente protetti: quelli degli alunni per l’istruzione”.
Nei prossimi dieci anni ci saranno un milione di studenti in meno e, quindi, meno classi e meno insegnanti in tutta Italia. A rischio nel prossimo decennio ci saranno circa 55mila cattedre. È lo scenario che prospettano per la scuola italiana le elaborazioni della Fondazione Agnelli, a partire dai dati Istat sull’evoluzione demografica.
In Italia la popolazione in età scolare fra i 3 e i 18 anni (dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di II grado) è oggi di circa 9 milioni. Fra 10 anni, nel 2028, sarà scesa a 8 milioni. Nessun altro Paese europeo avrà un trend così declinante. Tra le cause il saldo migratorio con l’estero sceso dal 7,5 per mille del 2007 al 3 per mille del 2017.
La diminuzione degli studenti investirà tutte le aree e le regioni. La popolazione fra 3 e 5 anni diminuirà ovunque, portando nel 2028 a una riduzione di circa 6.300 sezioni della scuola dell’infanzia, a regole vigenti. Il calo degli iscritti alla scuola primaria (6-10 anni) avrà un picco del 24% in Sardegna e del 20% in Campania, con una perdita di circa 18mila classi.
Gli iscritti alla scuola media continueranno a crescere debolmente per qualche anno al Nord e al Centro, per poi unirsi al Sud nel declino, con una perdita totale al 2028 di circa 9.400 classi. Una traiettoria simile alle medie, sebbene spostata in là nel tempo, avrà anche la popolazione fra i 14 e i 18 anni, con una perdita alle scuole superiori di circa 3mila classi (in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Lazio il saldo nel 2028 sarà però, ancora positivo).
Secondo le stime della Fondazione Agnelli, l’effetto potrebbe essere la perdita di oltre 55mila cattedre fra 10 anni, a partire dai gradi inferiori. Il fenomeno investirà tutte le regioni, comprese quelle del Nord, con un raffreddamento della mobilità dei docenti, poiché diminuiranno le opportunità di trasferirsi dal Sud al Centro-Nord per entrare in ruolo.
Rallenterà anche il turnover. “A soffrirne sarà il rinnovamento del corpo docente e probabilmente anche la capacità di innovazione didattica dell’intero sistema d’istruzione”, commenta Andrea Gavosto, direttore della Fondazione. Una situazione del genere pone problemi alle politiche scolastiche dei governi futuri. Una prima alternativa è non fare nulla: accettare la riduzione degli organici, con la conseguente minore capacità di rinnovamento del corpo docente. Soluzione che potrebbe portare, peraltro, a un risparmio di quasi 2 miliardi di euro annui.
Ma ci sono alternative. Una potrebbe essere aumentare il numero medio di insegnanti per classe, come avvenne nel 1990 con l’introduzione del modulo didattico alle scuole elementari. Una seconda la riduzione del numero medio di studenti per classe. “L’alternativa che appare preferibile a chi dà priorità al miglioramento della qualità dell’istruzione – sostiene Gavosto – è un rafforzamento della ‘scuola del pomeriggio’, con più possibilità di scelta del tempo pieno/prolungato, attività integrative, supporto ai percorsi personalizzati, contrasto all’abbandono”.
 
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