La routine olandese

Il mio soggiorno a Leiden continua, nonostante non abbia scritto per quasi tre mesi e mi scuso enormemente per non avervi tenuti aggiornati. Nei prossimi articoli vi spiegherò un po’ cos’è successo e del perché della mia scomparsa improvvisa, ma ora parliamo degli arretrati. Da come potete vedere dalla foto pure qui è passato il gelo, ma questo evento non mi ha tenuta lontana dalla mia integrazione olandese, tanto che ho continuato a girare in bici con -8 gradi, neve, pioggia e vento ben alleati contro di me. Ogni volta che prendevo la bici pensavo sempre: “odio questo vento”, e lo odio veramente, ma mi sento bene, mi sembra che in fondo il mio corpo mi ringrazi anche per poche pedalate faticate. Non che esca spesso sinceramente visto che il mio lavoro principale consiste nello stare seduta a leggere articoli per la tesi, pero’ cerco di uscire una volta al giorno, anche solo per andare in centro o all’unica lezione della settimana a cui devo partecipare. Ecco, parlando di università devo dire che non posso lamentarmene nel senso che ho solamente due lezioni, una e mezza in realtà, ma ora vi spiego meglio.
Seguo i corsi “italiano L2, metodi per l’apprendimento di italiano come L2” e “Puzzles in French”. Il primo corso è in italiano e parla appunto dei metodi per insegnare l’italiano come lingua straniera. E’ veramente interessante perché analizziamo i manuali di italiano destinati agli stranieri e discutiamo la loro struttura. Inoltre ci esercitiamo nella correzione degli errori di alunni e lo trovo un approccio pratico e incentrato proprio sugli studenti, a differenza del metodo italiano, non passivo, ricettivo più che altro. Durante il corso devo fare due presentazioni che riguardano i progressi che sto facendo sulla stesura della mia tesina finale, che deve essere di circa 15/20 pagine su un argomento a scelta, discusso con il professore e con l’altra studentessa del corso, perché ebbene si, siamo in 2. Ma mi trovo molto a mio agio anche perché ho già vissuto un’esperienza del genere durante la triennale, ma qui è proprio inclusivo, bisogna parlare, sempre, ad ogni lezione. Nonostante lo trovassi strano all’inizio, ora rispondo sempre e non mi vergogno di esprimere la mia opinione o di fare domande, anche se possono risultare stupide.
L’altro corso che seguo si chiama “Puzzles in French” ed è un corso di linguistica francese, incentrato soprattutto sulla sintassi e sulla semantica (per chi non comprendesse questi termini: Wikipedia SIN, SEM) ed è pure in francese. Il corso è a dir poco inesistente, nel senso che abbiamo fatto le prime 2 lezioni dove il prof ci spiegava che lui non farà lezione e che dobbiamo scegliere un argomento per la tesina finale, sempre di 15/20 pagine riguardo la sintassi e/o la semantica francese. Durante il semestre ci incontreremo 4 volte ma solo per presentare i nostri progressi. Ci sono sinceramente rimasta abbastanza male perché era proprio un corso che desideravo seguire e invece nulla.
Nonostante abbia cosi pochi corsi, sono comunque rimasta contenta della loro gestione e del fatto che mettono proprio al centro lo studente e le sue capacità critiche, cosa che in Italia ho visto raramente fare. Qui ogni volta bisogna esprimersi, bisogna parlare e dire la propria opinione su quello che ha detto il prof, su quello che presentano gli altri, su quello che si pensa. Non è come andare a lezione in Italia dove prendi appunti e finita l’ora arrivederci. Qui sei parte della lezione e il tuo contributo è essenziale. Inoltre il fatto di dover scrivere per ogni corso una tesina sviluppa le proprie capacità critiche e anche la propria indipendenza. Sembra che vogliano dirti continuamente: “Ma tu cosa ne pensi di questa cosa? Parlane! Scrivici qualcosa!” e non sembra te lo dicano perché devono, sembrano realmente interessati alla tua opinione. Un punto a favore dell’Olanda per la sensazione di inclusione e di interesse nei confronti di quello che ho da dire. Il secondo punto invece va a favore della tolleranza, argomento che a mio parere è proprio olandese, e non solo in ambito universitario. In questo momento pero’ mi riferisco al fatto che i professori non sono per nulla autoritari, né severi. Sono molto comprensivi dei bisogni personali e delle difficoltà degli alunni. Sono umani e si rendono conto che hanno davanti delle persone e non dei secchi da riempire di informazioni per l’esame finale. Il mio metodo di studio è abbastanza inflessibile a confronto e non mi permetterei mai di andare a lezione senza aver fatto i compiti assegnati, oppure di non rispettare una deadline. Qui invece è tutto molto più tranquillo. Una mia compagna di classe ha deciso di non fare un secondo power point per il corso di francese, il professore le ha detto: “Va bene, se pensi che non ci sia nulla che vuoi presentarci non è un problema, basta che alla fine ci sia la tesina”. Non riuscivo a capire se fosse una sorta di frase passivo-aggressiva o se fosse realmente sentita, pero’ continuando ad andare a lezione mi sono accorta che non era un attacco indiretto. Le deadline sono “flessibili”, nel caso ci fossero altri esami, o altre motivazioni personali. La data per la consegna della tesina di francese era a fine maggio, ma siccome abbiamo detto al professore che ci sono moltissimi esami in quel periodo, l’ha spostata a metà giugno. Una mia compagna del corso di italiano aveva bisogno di qualche giorno in più per fare la tesina siccome aveva nella stessa settimana un’altra deadline, nessun problema: “Prenditi questi 2/3 giorni se ne hai bisogno.” Ero allibita dalla pazienza, dall’empatia e dalla tolleranza di questi professori. Abituata ad un sistemo molto rigoroso fin dalle elementari, qui ho finalmente potuto respirare e lavorare senza sentire la pressione della rigidità sia umana che universitaria.
Questo tipo di approccio mi ha in parte risvegliata da un punto di vista umano, nel senso che in questi mesi mi sono resa conto che nonostante possa sembrare menefreghista come metodo, funziona. Ma soprattutto è un metodo che mi è stato utile nei mesi successivi visto che ho avuto bisogno di spazio per me e me lo sono presa. Ho messo un po’ da parte lo studio senza pero’ sentirmi in colpa per averlo fatto perché ho cominciato a comportarmi un po’ più da umana e un po’ meno da robot, riuscendo in parte a mantenere i miei standard universitari. Ovviamente non è tutto avvenuto grazie al modo in cui i miei professori olandesi mi hanno trattata, si è unito ad altre cose che ho cominciato a fare e a decisioni che ho preso, ma di questo ve ne parlerò’ nel prossimo articolo.
Dag! (Ciao!)
Jagoda

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