Come si diventa un diplomato da 100 e lode? Il senso dell’esame di maturità

Foto LaPresse – Stefano Porta 21/06/2017 Milano (Ita) Cronaca Prima prova degli esami di maturità per gli studenti del Liceo Volta in Via Benedetto Marcello

Alla fine degli esami di maturità manca ormai poco, varrebbe la pena chiedersi quanto siano utili queste prove e se davvero i risultati rispecchino le competenze dei ragazzi.
Secondo i numeri del ministero, rielaborati dal Sole 24 Ore, nel 2016-2017 in totale poco più dell’1% dei ragazzi ha completato l’esame di maturità ottenendo 100 e lode – il voto massimo. Da una regione all’altra però i risultati variano moltissimo, e il solo essere nati in un luogo o in un altro rende può rendere questo risultato parecchio più facile o difficile.
Quanto ai 100 e lode, la differenza massima è quella che passa fra studenti lombardi e pugliesi. Se nei primi la percentuale si abbassa ad appena lo 0,5% del totale, fra i secondi invece è diverse volte quel numero e arriva al 2,6%. Molte regioni del nord presentano valori sotto la media nazionale, mentre lodi più comuni si trovano in Puglia, appunto, oltre che in Calabria, Marche e Umbria.
Nell’altro verso troviamo invece gli studenti che hanno concluso il percorso con 60, il minimo. Anche qui la geografia non sempre è chiarissima. Sappiamo per esempio che l’8,5% degli studenti in tutt’Italia fa parte di questo gruppo, ma a recarsi nel Lazio – o se è per questo in Campania, Sicilia o Lombardia – ne troveremmo più di frequente. Nella provincia di Trento o in Calabria, d’altra parte, i docenti tendono a ricorrere meno spesso a questo voto esatto.
Un altro modo di guardare al modo in cui sono distribuite le lodi è per tipo di scuola. Stereotipo vorrebbe che i licei siano frequentati dagli studenti più bravi, e da questo punto di vista è vero che i licei classici ospitano – in media – la fetta maggiore di chi raggiunge il voto massimo. Dal poco sopra il 4% si scende a poco sotto il 3 per lo scientifico, mentre istituti tecnici e professionali non arrivano all’1%.
Un parte di questa differenza si deve a un doppio effetto di auto-selezione: da un lato esiste appunto lo stereotipo secondo cui certe scuole sono per studenti “bravi”, e lì essi vengono indirizzati. Dall’altro – come per esempio ha evidenziato un nuovo report dell’Ocse – la scuola italiana risulta particolarmente classista. Vuol dire che è spesso incapace di agire come ascensore sociale, e i figli di famiglie povere tenderanno a frequentare meno spesso scuole che garantiscono loro carriere migliori, e viceversa.
In concreto, chi parte da buone condizioni economiche si iscriverà più spesso a un liceo, con i più ricchi che tendono ad andare al classico di frequente. Da lì diventa probabile frequentare poi l’università e così via. Nelle famiglie povere succede l’esatto contrario e da questo dipende – oltre che naturalmente dalle capacità individuali – deriva parte della differenza che troviamo nei risultati.

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