La ricerca boccia il decreto dignità: "Siamo preoccupati"

Preoccupazione per un mondo che vive di contratti a termine. Il motivo è il decreto dignità in esame alla Camera potrebbe trasformarsi in un grande problema per enti ed istituti di ricerca, fondazioni e studiosi. Un vero e proprio timore quello di molti istituti di ricerca operanti in un settore che per sua natura richiede flessibilità. La questione è delicata. “Questo è un mondo diverso dagli altri, è un mondo che va capito, che ha le sue esigenze”, spiega al Corriere della Sera l’immunologo Alberto mantonavani, direttore scientifico dell’Humanitas di Milano.
La questione è stata posta qualche giorno fa durante una riunione al ministero della Sanità, dove i direttori scientifici dei principali Istituti di ricerca e cura scientifica italiani (gli Irccs), parlando delle stabilizzazioni dei ricercatori precari, hanno espresso timori e perplessità sulle nuove norme contenute nel decreto, soprattutto quelle che regolano i contratti a termine, con i limiti alla durata massima e ai rinnovi.

“Ma la vita di un ricercatore – continua Mantovani – è per una lunga fase basata su contratti non stabili, il mondo della ricerca funziona così, con meccanismi diversi dagli altri: se si crea un problema su questo, perderemmo competitività e danneggeremmo il Paese, non si può non tenerne conto”. Il professor Mantovani è conosciuto in tutto il mondo e per la seconda volta lo scorso anno ha ottenuto il premio European Research Council per la ricerca: “Significano finanziamenti da 2,5 milioni di euro ciascuno che servono per il mio lavoro e quello di decine di ragazzi che fanno ricerca con me: ecco, la rigidità sui contratti a termine li danneggerebbe, e con loro tutta la ricerca e quindi tutta l’Italia che resterebbe indietro in un settore dove già siamo figli di un dio minore”. Forse, afferma lo studioso, “nessuno si è posto il problema”.

Senza precari, enti ed istituti di ricerca italiani avrebbero vita breve. La vita di un ricercatore passa attraverso decine di contratti a tempo determinato che dipendono spesso da fondi privati, bandi e concorsi internazionali senza i quali i contratti a termine non potrebbero essere finanziati né concessi: il freno ai rinnovi rischierebbe quindi di rallentare se non bloccare tutto un sistema di ricerca, già duramente provato da risorse pubbliche sempre più ridotte. L’Istituto italiano di tecnologia di Genova, ad esempio, può contare su 480 contratti post doc su un totale di 1.600 dipendenti. Ecco perché al centro di ricerca guidato da Roberto Cingolani si guarda con attenzione al futuro dei propri studiosi. Senza di loro la ricerca si ferma. E il professor Alberto Mantovani conclude: “Chiedo solo che mi si metta in condizione di lavorare nel rispetto dei miei ragazzi, che sono i migliori del mondo”.

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