I corsi universitari in lingua inglese, in Italia, sono in rapida crescita. Il Terzo rapporto biennale dell’Agenzia Anvur, presentato ieri, certifica che nell’anno accademico 2017-2018 l’undici per cento dei corsi di studio allestiti dalle centoundici istituzioni universitarie è tenuto, completamente o parzialmente, in inglese. Oltre uno su dieci.
Sono 4.644 i corsi organizzati dagli atenei nella stagione che si sta chiudendo e, di questi, 502 sono in inglese (341 totalmente in lingua straniera e 161 parzialmente). I corsi erogati sono di nuovo in aumento: 82 in più rispetto all’anno scorso, 101 in più rispetto a due anni fa (ma negli ultimi dieci anni la scure Gelmini ne ha tagliati 1.217, quasi il ventun per cento). Quelli in italiano, però, diminuiscono – 88 in meno rispetto a due anni fa -, mentre i corsi in inglese completo o parziale aumentano: sono 189 in più, un saldo positivo del 60,77 per cento. In particolare, nelle ultime due stagioni i corsi “parzialmente in inglese” sono quasi triplicati, passando da 65 a 161.
Più della metà (53 per cento) degli insegnamenti in inglese sono svolti all’interno di dipartimenti scientifici. Il 38 per cento in facoltà economico-giuridiche, il 5 per cento in ambiti umanistici e il 3 per cento nei dipartimenti sanitari. L’aumento, va detto, è superiore nei corsi di laurea magistrale rispetto ai triennali.
Alla crescita dei corsi full english si sono accompagnati un forte dibattito, immancabile, e una serie di interventi della magistratura amministrativa. Lo scorso 30 gennaio il Consiglio di Stato ha bocciato la scelta del Politecnico di Milano (risalente addirittura al 2012) di proporre interi corsi di laurea e dottorati post-lauream unicamente in lingua straniera. Riprendendo sentenze del Tar e della Corte costituzionale, il Consiglio ha chiesto all’ateneo milanese – uno dei più internazionalizzati in Italia – di affiancare alle lezioni in inglese contemporanee spiegazioni in italiano. “Una bellissima vittoria”, ha detto il presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini.
È lo stesso Anvur, nonostante la crescita dei corsi in inglese, però, definisce il grado di internazionalizzazione degli atenei italiani “ancora piuttosto limitato”. Nell’anno accademico 2017-18 l’Agenzia di valutazione della ricerca universitaria ha contato 61 corsi di studio, soprattutto magistrali, attivati da 33 atenei in collaborazione con 54 università straniere, in prevalenza europee. E, ancora, la quota di immatricolati di nazionalità straniera è in crescita, “ma molto bassa nel confronto internazionale”. La questione segnala due distinti problemi: “La scarsa attrattiva nei confronti dell’estero del sistema universitario e la difficoltà nel proseguimento degli studi da parte dei figli di immigrati”.
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