La chiusura degli uffici della Central European University a Budapest dovrebbe avvenire a dicembre. La Central European University (Ceu), ateneo di Budapest fondato e finanziato dal miliardario americano George Soros, ha deciso di abbandonare l’Ungheria e di trasferire la propria sede a Vienna.
I vertici dell’istituzione culturale hanno affermato che tale scelta sarebbe una diretta conseguenza dei numerosi “provvedimenti discriminatori” promossi negli ultimi mesi dal governo Orbán. Michael Ignatieff, rettore dell’università, ha accusato il leader di Fidesz di avere varato, dagli inizi del 2018, norme “sempre più lesive della libertà accademica”. Tra le misure maggiormente avversate dall’ateneo di Soros vi è la “legge sugli istituti educativi nazionali”, adottata dall’esecutivo di Budapest nei primi mesi dell’anno e subito ribattezzata dalla Commissione europea “legge anti-Ceu”. Secondo Ignatieff, tale normativa, diretta a tutelare e a promuovere l’attività didattica delle università pubbliche ungheresi, avrebbe introdotto “innumerevoli oneri burocratici” a carico degli istituti di ricerca fondati e sovvenzionati da cittadini stranieri. Dall’entrata in vigore della controversa legge, la Ceu avrebbe fronteggiato “enormi difficoltà” a organizzare e a proseguire i rispettivi programmi di studi. Ad avviso del rettore, inoltre, il “colpo di grazia” all’autonomia dell’ente sarebbe stato rappresentato dalle misure varate da Orbán in estate e nelle prime settimane di ottobre. Lo scorso luglio, il leader di Fidesz ha infatti vietato negli atenei del Paese l’insegnamento di materie attinenti alle “migrazioni internazionali”, mentre a ottobre ha interdetto i corsi universitari incentrati sulla “teoria del gender”. Proprio su questi due insegnamenti erano basati molti corsi organizzati dalla Ceu e, di conseguenza, quest’ultima si è ritrovata profondamente penalizzata dalle recenti scelte dell’esecutivo.
Un altro ente legato a Soros, la Open Society Foundation, ha già abbandonato il Paese magiaro nei primi mesi di quest’anno, sempre a causa delle “politiche repressive” attuate dal governo Orbán. Il miliardario americano è infatti da tempo nel mirino del leader di Fidesz, in quanto sospettato di sovvenzionare i “nemici della nazione” e di propugnare la “scristianizzazione dell’Europa”.