Reddito di cittadinanza, ecco i lavori che si possono rifiutare senza perderlo

Se rientraste nei requisiti del reddito di cittadinanza e il sussidio superasse la remunerazione del lavoro part-time che avete trovato con difficoltà, ma che potrebbe darvi una chances in quell’ambito lavorativo, voi cosa scegliereste? Se lo stanno domandando in tanti. Non solo sindacati e imprese ma anche tanti ragazzi e ragazze che si stanno affacciando ora nel mondo del lavoro e vedono nella culla del sussidio una possibile protezione al rischio buttarsi in quel marasma di annunci e cercasi.
Ma quali sono i lavori che potrebbe essere rifiutati da chi ha i requisiti per percepire il reddito di cittadinanza? Contratti a terminestagionalilavoro a chiamata, part-time, appunto, fino al più strutturato contratto di apprendistato. Queste le offerte di occupazione che potranno essere rifiutate da chi usufruisce del reddito di cittadinanza, senza perdere il sussidio: sia per il tetto minimo di stipendio di 858 euro introdotto al Senato durante l’esame del Dl 4/2019, sia per il riferimento all’offerta «congrua», cioè a tempo pieno e indeterminato.
Salvo modifiche al provvedimento – all’esame della Camera per la conversione in legge – le tre offerte che i centri per l’impiego sottoporranno ai beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno essere congrue. Solo dopo il terzo rifiuto, decadrà il beneficio. Un meccanismo simile che ricorda quello per i percettori di disoccupazione (Naspi o Dis-coll): in questo caso, però, basta non accettare una sola proposta congrua per perdere l’indennità. Ma quando un’offerta è ritenuta congrua? Quando risponde a tre requisiti: tempo indeterminato (o a termine o di somministrazione di almeno tre mesi); a tempo pieno o con un orario non inferiore all’80% dell’ultimo contratto di lavoro; retribuzione non inferiore ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
Un emendamento al Dl 4/2019 approvato al Senato ha aggiunto che l’offerta di lavoro congrua debba prevedere una retribuzione «superiore di almeno il 10 per cento del beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione». Significa almeno 858 euro (780 euro +78) al mese. Secondo delle elaborazioni rilasciate dal quotidiano Il Sole 24 Ore, , ci sono diverse offerte occupazionali sotto queste cifre e che, con il reddito di cittadinanza, potrebbero diventare “rifiutabili” e perdere appeal. È il caso di molti stagionali: in agricoltura, per 180 giornate annue al minimo contrattuale si arriva a una paga di 505,05 euro al mese. Anche molte offerte a orario ridotto sono inferiori agli 858 euro: un part-time al 50% con il contratto alimentari-industria, di 5° livello, percepisce 807,41 euro per 20 ore settimanali; un commesso di negozio (sempre in part-time al 50%, 4°livello) arriva a 808,34 euro.
Vi sono, poi, gli apprendistati, dove il tempo indeterminato non basta a rendere congrue alcune proposte di lavoro: si pensi a un parrucchiere, al suo primo anno, che ha una retribuzione pari a circa 828 euro al mese per 40 ore settimanali. Senza contare anche le imprese di pulizia e dei servizi integrati, dove si calcola un 70% di part-time su circa 500mila lavoratori: pulitori, addetti mensa, portinai e manutentori potrebbero essere spinti “in maniera massiccia a uscire, anzichè entrare, dal mercato del lavoro”, afferma Lorenzo Mattioli presidente dell’Anip, che stima intorno agli 860 euro la mensilità media dell’intera platea dei lavoratori del settore. “Anche se pensare che qualcuno voglia perdere diritti, previdenza e assistenza ci pare poco realistico”, aggiunge Mattioli. Con il tetto minimo, infine, secondo Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf, “si rischia di aumentare la propensione a restare nel campo dell’irregolarità” e nel lavoro domestico si stimano 1,2 milioni di colf, babysitter, quest’ultimo spesso ricercato dai giovani che vogliono mantenersi durante il studi.
Dimezzate invece le stime sui navigator, i tutor che dovranno accompagnare i disoccupati verso un impiego, si è sbloccata la partita tra governo e regioni, con il dimezzamento delle assunzioni che da seimila scendono a tremila. Ma già si parla di “lavoro precario” e con poca possibilità di essere stabilizzati rispetto chi già lavora nei centri per l’impiego. “Non sono professioni sovrapponibili – spiega, infatti, la coordinatrice degli assessori regionali al lavoro, Cristina Grieco -Faranno assistenza tecnica. Si faranno un’esperienza e poi faranno il concorso”.

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