Il crollo delle scuole professionali, in 16 anni metà iscritti

Due riforme, un Paese che ha bisogno di formazione eppure solo il 14,4 per cento sceglie l’Ifp dopo la Terza media. Toccafondi: “Questo governo ha abbandonato anche l’Alternanza scuola lavoro”
In sedici anni si sono dimezzati gli iscritti agli istituti professionali, e il Paese – tanto meno il ministero dell’Istruzione – non ha ancora messo a fuoco che questo è un problema primario.
Lo scorso 27 giugno il Miur ha reso pubblici i dati sulle iscrizioni scolastiche per l’anno 2019-2020. Hanno certificato, i dati, come le famiglie negli ultimi cinque anni si siano aggrappate alla tradizione dei licei: su 542.654 richieste di iscrizione alla prima superiore, infatti, il 54,6 per cento si è affidato a un classico, uno scientifico, un linguistico (i licei sono in crescita di iscritti dal 2014-2015). Le scuole tecniche (economiche, tecnologiche, turistiche) sono in lieve ripresa: le affronterà il 31 per cento degli studenti che si affacciano alla secondaria superiore. La scelta degli undici indirizzi di istruzione professionale e dei percorsi di formazione professionale (IeFp), invece, è in vistoso calo. Gli iscritti alla prossima stagione, qui, sono al 14,4 per cento del totale contro il 15,2 dell’anno precedente. Gli istituti professionali quinquennali sono in leggera risalita (0,1 per cento), ma crollano le adesioni alle scuole regionali con un percorso di tre o quattro anni.

Il crollo delle scuole professionali, in 16 anni metà iscritti

In difficoltà anche Enogastronomia
Se si entra nel dettaglio degli undici indirizzi professionali, si vede che perde (0,2 per cento sull’anno precedente) anche quello più frequentato: “Enogastronomia”. Il “Food” è questione di moda e crea occupazione, a livello universitario crescono i corsi in Scienze alimentari, ma nella scuola anche questo segmento non tira. Tengono “Servizi commerciali” e “Manutenzione e assistenza tecnica”. “Servizi per la sanità e l’assistenza sociale” è il terzo per iscritti.
Una ricerca della Fondazione Agnelli del febbraio 2018 ha spiegato una questione che, probabilmente, le famiglie italiane hanno introiettato da tempo: i Professionali italiani (nella ricerca anche i Tecnici, in verità) danno minori garanzie di occupazione. Nello specifico, solo il 42,7 per cento dei diplomati tecnico-professionali trova un lavoro nei due anni successivi alla Maturità. E di questi, solo uno su cinque lo trova a tempo indeterminato.
Due riforme in sei anni
Due riforme in sei anni (Gelmini con Berlusconi nel 2011, Toccafondi con Gentiloni nel 2017) non riescono a incidere sui destini della scuola professionale italiana. La dispersione – ovvero gli studenti che non arrivano alla Maturità – resta alta e troppe classi sono diventate luoghi di aggressività studentesca nei confronti di docenti lasciati in solitudine.
“La scuola è il luogo in cui i ragazzi scoprono la propria strada, il proprio talento e si orientano per il futuro”, dice Gabriele Toccafondi, oggi deputato centrista, sottosegretario all’Istruzione con Renzi e Gentiloni, “gli istituti professionali vanno sostenuti e rilanciati per il bene del Paese. Questo governo, che pure tra la piccola impresa del Nord ha molto elettorato, non lo sta facendo. La crisi delle scuole professionali è l’altra faccia dell’abbandono dell’Alternanza scuola lavoro”. Alla Camera il ministero ha rivelato, infatti, che nell’anno scolastico appena chiuso solo il 53 per cento degli studenti ha svolto l’Alternanza (nel 2017-2018 era stato l’89 per cento). Le strutture ospitanti sono passate da 208 mila a 190 mila.

Il crollo delle scuole professionali, in 16 anni metà iscritti

Che in alcune aree del Paese le Professionali servano tutt’oggi lo dimostra l’iniziativa dell’azienda di Treviso Came, leader nel settore dell’automazione (cancelli, citofonia): ha selezionato 22 studenti scelti tra i 740 di un istituto Italiano che si sono candidati. Li avvierà a uno stage teorico e pratico lungo due settimane.

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