Decreto scuola, via le impronte digitali per i dirigenti scolastici

Non è stato ancora raggiunto un accordo sul testo definitivo del decreto scuola che dovrebbe approdare questa settimana in Consiglio dei ministri. Confermato il concorso straordinario per 24 mila posti riservato ai precari con 3 anni di servizio nella scuola statale che, grazie a una procedura super facilitata, potrebbero entrare di ruolo già a settembre 2020 dando un po’ di sollievo alle scuole a corto di docenti. Buone notizie anche per i presidi e gli Ata: niente impronte digitali e rilevazioni biometriche per loro, come già per gli insegnanti che erano stati precedentemente esclusi dalle nuove norme contro i cosiddetti furbetti del cartellino. Ma – spiega il segretario generale della Uil Pino Turi – in queste ore è in corso un confronto serrato fra Miur e Funzione pubblica sul concorso straordinario per Dsga, i contabili della scuola, previsto dall’intesa governo-sindacati del primo ottobre e contestato dai candidati al concorso ordinario che lamentavano i due pesi due misure adottati dal governo: da un lato una procedura molto selettiva in via di svolgimento, dall’altro una stabilizzazione di fatto dei «facente funzione» anche se sprovvisti del titolo di laurea. «Il ministero della Pubblica amministrazione – spiega ancora Turi – trova difficoltà ad accettare una procedura concorsuale in mancanza di titolo e non ravvede nemmeno la necessità di una decretazione d’urgenza», visto che è già in corso un’altra prova concorsuale per duemila posti .

Più posti al Nord che al Sud, più in matematica che in diritto

Stando alle bozze di decreto uscite in queste ore sulla stampa specializzata, il concorso straordinario per 24 mila docenti di scuola media e superiore verrà bandito solo nelle regioni e per le classi di concorso in cui si prevedono posti vacanti e disponibili nel triennio fra il 2020/1 e il 2022/3. Detto altrimenti: ci saranno più posti per i docenti di matematica informatica e sostegno di cui c’è cronica mancanza soprattutto al Nord e meno per quelli di diritto ed economia assunti in massa con la Buona scuola. Basteranno a riempire i buchi? In attesa che arrivino anche i vincitori del prossimo concorso ordinario sempre da 24 mila posti, che non saranno pronti prima di settembre 2021 visto che per loro la procedura è molto più lunga (prova preselettiva scritto e orale), si è deciso di far spazio ai vincitori e anche agli idonei degli ultimi concorsi (2016 e 2018) prolungando la validità delle graduatorie: purché però costoro siano disposti ad andare a lavorare nelle regioni dove c’è più bisogno. Il concorso dovrà essere bandito entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto. Ragionevolemente, quindi, entro gennaio 2020. Dopo la prova scritta composta da quesiti a risposta multipla da svolgersi al pc, verrà pubblicata una graduatoria stilata in base al punteggio nella prova e alla valutazione dei titoli. A quel punto per i 24 mila vincitori è previsto un anno di prova in cui devono conseguire i 24 crediti formativi in discipline psico-pedagogiche e didattiche previsti dalla legge. A differenza dei neolaureati però, che lo devono fare a spese proprie, i precari saranno spesati dallo Stato. Al termine dell’anno di prova dovranno sostenere un esame orale – una lezione simulata – e a quel punto saranno assunti a tutti gli effetti.

Abilitati non vuol dire assunti (per ora)

Per tutti gli altri, il concorso non sarà stato comunque vano: basta che abbiano superato il punteggio minimo di 7/10 nella prova a crocette e avranno diritto – previo un anno di supplenze e conseguimento dei soliti crediti formativi a spese dello Stato – a ottenere l’abilitazione. Benché il decreto specifichi che «il conseguimento dell’abilitazione non dà diritto a essere assunti», il recente passato è pieno di pseudo concorsi tagliati su misura proprio e solo per i precari abilitati. Dunque non è affatto escluso che in un futuro prossimo a questi nuovi supplenti di serie A venga riconosciuto il diritto all’ennesimo canale preferenziale per ottenere il posto.

Niente impronte ai presidi e agli Ata

Dopo le proteste dei mesi scorsi, l’esecutivo giallo-rosso ha deciso di fare proprie le istanze dei dirigenti scolastici che si opponevano alle nuove norme sulle rilevazioni biometriche previste dalla legge contro i cosiddetti furbetti del cartellino. Maestri e prof erano già stati esclusi: che senso aveva prenderne le impronte, visto che una loro eventuale assenza non passa certo inosservata né agli alunni né ai colleghi che devono sostituirli? Ma i presidi e gli Ata (gli assistenti tecnico-amministrativi) no, secondo il governo Conte 1 avrebbero dovuto essere monitorati. Difficile dire se la svolta del Conte 2 sia dettata più dal desiderio di fare pace o da un occhio al portafogli: installare telecamere e rilevatori d’impronte in tutte le scuole sarebbe costato una follia (secondo le stime del sindacato presidi, non meno di 100 milioni di euro visto che un impianto costa attorno ai 2500 euro e i plessi scolastici sono oltre 40 mila).

Invalsi

Niente di nuovo invece sul fronte delle prove Invalsi, di cui da più parti si vociferava che si volesse togliere l’obbligo sia in quinta superiore dove sono state introdotte per la prima volta l’anno scorso in forma ancora solo facoltativa, che in terza media, dove invece sono già obbligatorie. In base alla legge 107, le prove dovrebbero diventare condizione indispensabile per essere ammessi all’esame di Maturità, ma l’anno scorso il ministro Bussetti aveva deciso di rinviare l’obbligo di un anno. E il suo successore Fioramonti aveva detto che non le riteneva affatto indispensabili visto che anche senza l’obbligo le hanno fatte il 95 per cento degli studenti. Comunque la pensi, il ministro a deciso di rinviare la complicata questione della valutazione a un disegno di legge a venire, anche per evitare un ulteriore terreno di scontro all’interno del governo dove i grillini spingono per l’eliminazione delle prove difese a spada tratta da Italia viva e, più tiepidamente, dal Pd.

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