Studenti e ricercatori in rivolta: "Serve un miliardo e mezzo per l'università"

Dopo le dimissioni di Fioramonti rimane l’emergenza fondi per assumere i cervelli precari e per il diritto allo studio. Flash mob, assemblee e presidi in oltre dieci atenei
Flash-mob, presidi e assemblee in oltre dieci atenei, da Torino a Lecce. E’ il giorno della mobilitazione del mondo universitario: ricercatori (precari) e studenti si sono fatti sentire oggi reclamando fondi per il reclutamento e il diritto allo studio. Dopo le dimissioni di Lorenzo Fioramonti proprio sulla mancanza di risorse per l’università, il problema rimane. E se l’ex ministro rivendicava l’assegnazione di un miliardo, che non è arrivato, studenti e ricercatori oggi lo reclamano, anzi alzano la posta e ne chiedono uno e mezzo per riportare l’università almeno alle condizioni in cui era prima dei tagli della Gelmini: “E’ ciò che è stato sottratto in dieci anni agli atenei” spiega Tito Russo, della Flc-Cgil. La mobilitazione nasce dall’appello dei Ricercatori Determinati di Pisa, un gruppo che ha preso il nome della campagna Adi e Flc-Cgil sul reclutamento, e si è estesa al coordinamento universitario Link.
“Il nostro gruppo è nato a partire da una riflessione sulla riforma del reclutamento – spiega Stefano Cusumano, del gruppo Ricercatori Determinati di Pisa dove è stato fatto stamattina il presidio con lo striscione “Divisi siamo niente, uniti siamo tutto” – questa protesta nasce sui fondi mancati. Ci sono circa 40mila docenti e 60mila precari che reggono l’università, il sistema va rivisto: occorre un aumento dei posti fissi, regolarità nei concorsi e nei finanziamenti alla ricerca. La valutazione sulla ricerca, poi, va completamente cambiata e ci vuole un finanziamnto degno per il diritto allo studio”.
“Il 25 dicembre il ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca si è dimesso, in polemica con il mancato ottenimento dei fondi richiesti per il rifinanziamento del comparto scolastico e universitario all’interno della Legge Finanziaria per il 2020 – scrivono i promotori – Uno sguardo alla legge di bilancio è sufficiente a spiegare le ragioni di questo gesto: a fronte di un crollo d’investimento pubblico sull’università di 1,5 miliardi di euro a partire dal 2008, la manciata di milioni stanziati con questa finanziaria suonano come l’ennesima presa in giro. Si tratta di cifre nemmeno lontanamente sufficienti a risolvere le allarmanti criticità delle condizioni di lavoro della ricerca in Italia”.
Alla Sapienza i ricercatori si sono incatenati, a Lecce hanno messo in scena un funerale. “Siamo preoccupati, mancano regole e risorse – spiega Russo – E quel miliardo non c’è. Noi in realtà avevamo chiesto un miliardo e mezzo, un finanziamento necessario al reclutamento universitario e per garantire il diritto allo studio. Questa Legge di Bilancio ha messo meno dello scorso anno”. E’ saltato anche il piano straordinario per 1.300 posti da ricercatore di tipo B (il canale che dà l’accesso alla docenza). “Di fatto gli atenei saranno costretti a non fare il reclutamento necessario per risparmiare risorse. E c’è il rischio che finiscano in strada i tanti ricercatori di tipo A in assenza di un piano straordinario: si ritroveranno a 40-45 anni, dopo dieci anni di precariato, senza sapere dove sbattere la testa”.
Altro nodo, il diritto allo studio. Pur raddoppiando il fondo, con 16 milioni in più, le risorse sono insufficienti a garantire tutte le borse di studio e i posti alloggio agli universitari idonei: “Ad oggi solo una sparuta minoranza degli studenti iscritti beneficia di una borsa di studio, per tacere della carenza strutturale di residenze e posti letto, rendendo l’università un posto sempre più inaccessibile, anche a causa della spasmodica ricerca di risorse che viene fatta pesare sulle fasce più deboli della popolazione studentesca”.
La mobilitazione sotto forma di assemblee e presidi si è svolta negli atenei di Pisa, Bologna, Trieste, Milano Bicocca, La Sapienza, politecnico di Torino, Bari, Lecce, Perugia, Palermo, Potenza. Dall’assemblea a Bologna è uscita una presa di posizione anche per i dottori di ricerca: “Centrale è la difficoltà a far riconoscere lo status di dottorando, spesso ancora inteso più come studente che come lavoratore. Un intervento necessario sarebbe quello di valorizzare il dottorato nel mondo del lavoro a partire dal suo riconoscimento e della qualifica di lavoratore in formazione. Inoltre, il definanziamento dei dottorati di ricerca ha fatto quasi dimezzare (-43%) le possibilità di accesso al percorso dottorale dal 2008 ad oggi”.
“Anche quest’anno – dichiara Camilla Guarino di Link – ci troviamo ad assistere all’ennesima manovra finanziaria che elude completamente le necessità del sistema universitario. E’ necessario riaprire immediatamente un dibattito sull’università all’interno di questo Paese”.
larepubblica

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