Intervista a Pier Ferdinando Casini, candidato premier UdC

casini_oc.jpgNovello papà, tra la sala parto e i comizi di piazza, anche Pier Ferdinando Casini ha risposto alle nostre domande sul mondo dell’università e del lavoro.

Presidente, com’è l’università, e più in generale, il sistema della formazione che immagina l’UdC?
La premessa di fondo è che non c’è futuro senza sapere. Nel mondo globalizzato, l’Italia può competere solo puntando sulla qualità, quindi sull’istruzione e la ricerca, sulla scuola e l’università. Il merito deve tornare al centro del sistema educativo come vero criterio di efficienza e giustizia sociale. Se questa è la premessa, ne discende che la voce “scuola, ricerca e università” deve diventare una priorità. Occorrono maggiori investimenti. I finanziamenti pubblici per la ricerca in Italia incidono per l’1.2% del PIL. Noi vogliamo portarli all’1.8%. Una carenza anche maggiore si rileva, rispetto ai nostri partner e concorrenti occidentali, sul fronte dei finanziamenti privati. Vogliamo semplicemente la detrazione e detassazione degli investimenti privati nella ricerca. In vent’anni sono aumentate le sedi universitarie, sono nati nuovi atenei in regioni che ne erano prive, ma le strutture restano insufficienti, molti corsi di laurea sono scatole vuote, in generale si è innescato un meccanismo di liceizzazione dell’università. Il corpo docente è anziano, con troppi generali e poca truppa, e domina il nepotismo. Noi vogliamo ridurre la frammentazione universitaria bloccando l’istituzione di nuovi atenei, ma potenziando le strutture esistenti sul modello dei “campus universitari” (non ha senso la promessa peraltro irrealizzabile di costruire 100 campus universitari entro il 2010), introduzione di meccanismi premianti e penalizzanti delle prestazioni offerte dagli atenei, come fondo ordinario di finanziamento e stipendio del personale. La laurea non dev’essere più un inutile pezzo di carta, ma il punto di partenza di una formazione in grado di rendere i nostri giovani competitivi sul mercato globale della ricerca.

Lei propone di estendere il numero chiuso a tutti i corsi di laurea. Quali sarebbero i vantaggi e gli svantaggi se si realizzasse la sua idea?
La selezione e il merito danno più opportunità ai giovani. Il numero chiuso è garanzia di qualità di istruzione durante il percorso formativo e di concreti sbocchi lavorativi al termine. Il potenziamento dell’orientamento pre-universitario e la programmazione del numero degli studenti in tutte le facoltà universitarie sono due tappe fondamentali nella prospettiva della futura occupazione. Oggi, molte famiglie sostengono a fatica i propri figli all’università che spesso ne escono non adeguatamente preparati e senza uno sbocco professionale sicuro. Per cui, la differenza sempre più spesso non la fa la competenza, ma il portafoglio dei genitori. L’esperienza del ’68 a questo proposito, è stata disastrosa. È lì che sono andati perduti concetti come quelli di autorità, merito e selezione. Bisogna reagire con forza a questo processo di de-responsabilizzazione che si è radicato. Ora le nuove generazioni di studenti vanno incoraggiate: devono vedere premiati i meriti e devono recuperare una scuola capace di inserirli concretamente nel mondo del lavoro.

Da una nostra indagine risulta che per gli studenti la priorità del prossimo governo dovrà essere la lotta al precariato (40% degli intervistati). È d’accordo?
Il precariato non è stato creato dalla Legge Biagi, che anzi ha garantito in anni di recessione economica un tasso di disoccupazione in Italia inferiore a quello dei suoi partner e concorrenti europei. La Legge Biagi ha, semmai, dato ai co.co.co. creati da leggi precedenti diritti che non avevano. Ma la questione del lavoro precario resta un problema che non va eluso, ma affrontato. Lo stesso Marco Biagi aveva indicato nel suo Libro Bianco lo strumento per trasformare la precarietà in flessibilità, ed è da qui che dobbiamo ripartire: dagli ammortizzatori sociali e dagli incentivi alle imprese che assumono con contratti a tempo indeterminato. Vogliamo pure un maggiore raccordo tra la scuola, l’università e il mondo del lavoro attraverso una forma d’inserimento in tre fasi: stage di un mese in un’azienda, contratto di un anno, contratto fisso con una dotazione fiscale di 5 anni per l’impresa che assume.

Perché i nostri ricercatori non riescono a trovare pace in Italia, e anche quando c’è qualche fondo in più, si può decidere all’improvviso di deviare quelle risorse su un’emergenza (come è accaduto lo scorso dicembre con gli autotrasportatori)?
Ogni soldo destinato alla ricerca è un investimento per il futuro dei nostri figli e del nostro Paese. L’Italia deve investire di più sulla ricerca e deve cominciare a farlo subito. È questa la vera emergenza ed è per questo che serve una modifica dei criteri di finanziamento degli Atenei, rapportati non solo al numero degli iscritti e dei laureati, ma anche all’attività di ricerca. La ricerca scientifica è infatti garanzia di competitività e va incoraggiata con ogni mezzo. Crediamo inoltre che i giovani ricercatori, sulla base di criteri meritocratici, debbano avere un più facile accesso alla carriera universitaria in modo da abbassare l’età media del corpo docente e favorire, al tempo stesso, la circolazione dei docenti negli atenei. Le nostre proposte servono a raddrizzare il sistema: aumento dei salari dei ricercatori e dei professori universitari, incremento del finanziamento pubblico, designazione di un corpo qualificato di valutatori dei progetti, destinazione di una quota del 10-15% dei finanziamenti ai giovani ricercatori con l’obiettivo di far emergere nuovi talenti, una riserva di quote incentivanti di finanziamenti pubblici a gruppi di ricerca consorziati su progetti strategici, ulteriori borse di studio all’estero per studenti meritevoli, coinvolgimento maggiore delle Fondazioni bancarie nei finanziamenti all’università.

Qual è, infine, il messaggio elettorale che rivolgerebbe ai più giovani?
Sono tanti i giovani che nel corso di questa campagna elettorale si sono avvicinati a noi. Sono giovani che credono in una politica vera, trasparente, che vogliono ascoltare il linguaggio della verità e non quello delle promesse irrealizzabili. Soprattutto sono giovani che non hanno paura di affrontare con noi i temi etici, che sono poi i temi della vita di ognuno di noi e i temi del lavoro, sui quali bisogna confrontarsi senza ipocrisie, senza false illusioni. A questi giovani diciamo che, con un serio impegno, una giusta convinzione e qualche sacrificio, ogni sfida si può vincere. E in questo tempo in cui siamo chiamati ad affrontare sempre più la sfida dei crescenti flussi migratori e le dinamiche competitive della globalizzazione voglio dire loro: ragazzi, impegnatevi con forza e convinzione per il processo di integrazione, ma conservate la consapevolezza della vostra storia e identità.

Lascia un commento