Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) ha le idee molto chiare sulle priorità che dovrà affrontare il nuovo esecutivo. Per non lasciare nulla d’intentato, ha formulato in modo conciso e diretto 5 richieste al governo prossimo venturo in tema di ricerca scientifica. Al primo posto della lista – e la cosa non ci stupisce affatto – c’è l’annoso problema delle esigue risorse allocate: che andrebbe immediatamente “tamponato” con 500 milioni di euro.
Maggiori risorse. L’Italia è in forte ritardo come investimenti nel settore ricerca in rapporto al PIL: spendiamo poco più della metà della media UE, e appena più di un terzo rispetto all’obiettivo indicato dall’Unione a Lisbona. Servono segnali da subito, quantificabili grosso modo in 500 milioni di euro. Al solo CNR, per coprire con tranquillità le spese fisse (stipendi, affitti, bollette) e stimolare nuovi programmi di ricerca, servirebbero non meno di 100 milioni in più.
Incentivare i privati. Il deficit italiano nasce da un rapporto pubblico-privato opposto rispetto alla media e agli obiettivi europei: le imprese dovrebbero coprire circa i due terzi degli investimenti in ricerca e sviluppo. In Italia fatichiamo a causa della scarsità di grandi gruppi e per la presenza di molte imprese medio-piccole. Lo Stato deve incentivare il privato, con meccanismi quali una maggiore defiscalizzazione.
Coordinamento. Il comparto ricerca è complesso: spartisce le insufficienti risorse finanziarie e umane tra università, i maggiori enti pubblici (CNR, ENEA, ASI, INFN, ISS) e decine di enti minori o strutture ministeriali. Poi ci sono il non profit e la ricerca industriale. I potenziali finanziatori e committenti sono non meno variegati, tra nazionali, regionali e comunitari. Serve un piano organico, una distinzione di ruoli e competenze che permetta di evitare la frammentazione e aumentare la collaborazione, indispensabile soprattutto per attrarre maggiori fondi pubblici europei.
Chiarezza normativa. Il comparto ha bisogno di più ricercatori, di energie giovani, garantendo loro un futuro certo e carriere dignitose. Altrimenti, sarà sempre ‘fuga dei cervelli’. Oltreché finanziamenti, servono certezze normative: possibilità di bandire concorsi (le recenti stabilizzazioni sono state sottoposte a estenuanti ‘stop and go‘), di agire in maggior autonomia rispetto alle regole della p.a.
Valutazione. La richiesta di certezze investe anche il futuro normativo degli Enti: veniamo da un decennio che ci ha sottoposto a ben tre riforme. Servono anche certezze pluriennali, senza dover temere per le proprie sorti ad ogni legge finanziaria. Un efficace organo di valutazione è in questo quadro indispensabile, per garantire che le poche risorse siano distribuite con imparziale meritocrazia.
Manuel Massimo
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