Architettura, questioni sul tavolo

tecnigrafo.jpgIl tema è di stretta attualità: il futuro dei tanti architetti che annualmente vengono sfornati dai nostri atenei è al centro del dibattito politico/accademico. Lo dimostra la lettera aperta indirizzata al ministro di Istruzione, Università e Ricerca Mariastella Gelmini a firma di Francesco Dal Co, storico dell’architettura e direttore della rivista di design Casabella. Ma anche le posizioni emerse nel corso del convegno “Rappresentazione: dalla formazione alla professione”, organizzato il 2 febbraio presso la Casa dell’Architettura di Roma, pongono seri interrogativi sul futuro dei professionisti freschi di laurea.
L’appello targato Casabella. Il direttore del periodico edito da Mondadori si chiede quali siano stati gli effetti della proliferazione di nuove facoltà e corsi di laurea in Architettura in questi ultimi anni, e le risposte sono scoraggianti: aggravamento della “bulimia corporativa”, esplosione degli “appetiti localistici” e acquiescenza delle Pubbliche Amministrazioni, che hanno accettato supinamente l’istituzione di nuove sedi universitarie anche laddove non strettamente necessarie.
Conseguenze disastrose. “Ciò ha prodotto – evidenzia Dal Co – la dispersione delle risorse, lo scadimento della qualità del personale docente, la crescita del precariato e ha drasticamente ridotto la propensione alla mobilità della parte più giovane della popolazione italiana”.
Accademico vs. legale. Dal modello vigente del valore legale del titolo di studio – che omologa le esperienze e appiattisce le differenze – Dal Co sostiene che bisognerebbe puntare esclusivamente sul valore accademico “spingendo le Università a competere tra di loro e fornendo servizi formativi più efficienti e non più strutturati secondo logiche endogamiche. Inoltre ciò consentirebbe di riconoscere alle Università una piena autonomia per quanto riguarda la formazione dei corpi docenti, facilitando la mobilità degli insegnanti e lo scambio tra il mondo accademico e quello delle professioni”.
Casa dell’Architettura. Nel corso del dibattito accademico capitolino, tanti i punti di vista espressi: sulla riconfigurazione dei corsi triennali, la rimodulazione dell’offerta specialistica e il ripristino di corsi almeno quadriennali che vadano a formare l’architetto “generalista”. Una figura che, soprattutto, sia in grado di tenere una matita in mano: abilità oggi poco diffusa a causa dei software di grafica sempre più intuitivi e avanzati.
E già, perché in questa nostra epoca di iperspecializzazione, si sta perdendo proprio quello che per secoli è stato il nostro “italico” tratto distintivo nell’architettura e nell’arte in genere: la poliedricità. L’architetto nostrano moderno, per competere nel mercato del lavoro sempre più globalizzato, deve essere interdisciplinare: conoscere le lingue, le culture e le dinamiche di ciascun ambito con cui andrà ad interagire. Insomma: essere davvero un professionista a tutto tondo.

Manuel Massimo

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