“Mai come oggi si riconosce al sindacato un improprio potere di cogestione sull’organizzazione dell’aziende, da sempre compito esclusivo del datore di lavoro, della legge e non del contratto”. Così il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, ha recentemente tacciato le sigle sindacali di abuso di potere. Di intervento. Di ingerenza.
Non attraversa di certo un periodo facile il sindacato, a giudicare dalle ultime stime nazionali che vedrebbero la sua popolarità in calo, soprattutto tra i giovani. Secondo il sondaggio promosso dall’Associazione Metes, infatti, l’insoddisfazione diffusa delle nuove generazioni nei confronti della classe politica si riflette anche sull’operato di quella sindacale, tanto da incontrare l’insoddisfazione del 36% degli intervistati che lo bocciano su tutti i fronti, considerandolo inadeguato.
Colpa di quel processo che Bruno Manghi, sociologo del lavoro, ha definito “impigrimento” progressivo del sindacato, ferma restando l’utilità delle organizzazione che “non sono più al centro del processo di emancipazione delle classi lavoratrici”. Oppure del lavoro flessibile, “fluttuante, a volte disperso” cui il sindacato non riesce sempre a dar voce.
“È più facile oggi – continua Manghi – rappresentare i lavoratori della Telecom, piuttosto che dei giovani grafici pubblicitari con semplice partita Iva”. Ciò spiegherebbe il fenomeno della disaffezione dei giovani che percepiscono il sindacato più attento a “rappresentare le fasce tradizionali di lavoratori, che tuttavia si riducono in termini numerici”.
Rifiuta il concetto di disaffezione Mattia Pirulli, presidente dell’associazione Giovani CISL che sottolinea come spesso i giovani “facciano fatica a comprendere la reale utilità del sindacato”. Ventisettenne, neolaureato in Economia, Pirulli crede nella forza del rinnovamento della propria confederazione tanto da “rispondere efficacemente già dal ’98 alle richieste dei nuovi lavoratori tramite la creazione dell’Associazione Lavoratori Atipici e Interinali (ALAI)”.
L’obiettivo è infatti non quello di portare i giovani nelle sedi sindacali ma di capillarizzare la conoscenza, gli obiettivi e l’attività delle organizzazioni “in luoghi non tipicamente sindacali”, in modo da penetrare concretamente nei pericolosi interstizi dell’indifferenza. Che spesso si trasforma in inattività.
Valentina De Matteo
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