Dialetto sui banchi, il pallino della Lega

banchi-scuola.jpgTutelare le lingue storiche regionali. Una richiesta che la Lega Nord ha messo nero su bianco in una proposta di legge presentata alla Camera, primo firmatario Davide Caparini, già il 30 aprile del 2008. Non solo: in un disegno di legge depositato al Senato il 21 maggio scorso, con primo proponente il capogruppo Federico Bricolo, il Carroccio chiede che il ministero dell’Istruzione, d’intesa con ciascuna regione, individui lingue o dialetti da inserire come insegnamento obbligatorio nei curricula scolastici, a partire dal piemontese e dal veneto. E insieme ai Radicali e alla Svp – che sulla questione hanno presentato autonomi progetti di legge – il partito di Umberto Bossi vuole la ratifica e l’esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, stipulata a Strasburgo il 5 novembre 1992.
Per la Lega innanzitutto «il dialetto è una lingua», quindi è «pseudo-linguistica la distinzione fra lingue e dialetti. In pratica, tutti i cosiddetti ‘dialetti italiani’ sono lingue distinte e non dialetti dell’italiano». E «i dialetti che potrebbero assurgere al grado di lingua sono il veneto, il piemontese, l’emiliano-romagnolo, il lombardo, il ligure, il siciliano, il napoletano e le altre lingue meridionali».
Tuttavia «le politiche di riconoscimento e di valorizzazione linguistica devono essere decise e governate dalle Regioni e dagli altri Enti locali, espressione delle comunità locali, e non dagli Stati centrali, a maggior ragione se centralisti come quello italiano. Solo così le minoranze potranno uscire dal ghetto minoritario per diventare realmente comunità attive e riconosciute con gli stessi diritti delle maggioranze di Stato».
Partendo da queste premesse, la proposta di legge della Lega chiede una modifica della legge numero 482 del 1999 che tutela le minoranze linguistiche dando attuazione all’articolo 6 della Costituzione. Attualmente le disposizioni vigenti prevedono che «la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo». «Nelle scuole materne – stabilisce la stessa normativa – l’educazione linguistica prevede, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative», e «nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l’uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento».
Con la proposta presentata alla Camera, il Carroccio vuole che queste norme vengano applicate anche «alle lingue che, con delibera dei consigli regionali, sono riconosciute come lingue storiche regionali». Al Senato, l’intenzione del partito di Bossi è di intervenire sui programmi scolastici, prevedendo intese tra il ministero dell’Istruzione e le Regioni per inserire come obbligatorio l’insegnamento di lingue e dialetti. A tal fine il disegno di legge prevede di aggiungere anche il veneto e il piemontese tra le lingue per le quali è prevista già la tutela e di considerare come «dialetti gli idiomi che siano parlati dalle comunità locali residenti nei territori regionali».
La Lega è infine impegnata in un’ultima battaglia, nella quale ha trovato come alleati anche la Svp e i Radicali. Si tratta della richiesta, anche questa messa nero su bianco in varie proposte di legge, di ratificare la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, firmata a Strasburgo il 5 novembre del 1992. Un documento, ricordano i deputati altoatesini Siegfried Brugger e Karl Zeller, il rappresentante della Valle d’Aosta Roberto Nicco, e Ricardo Antonio Merlo, liberaldemocratico eletto per gli italiani all’estero, firmato dai 33 Stati membri del Consiglio d’Europa, con lo scopo «di tutelare le lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa che rischiano purtroppo di scomparire».
La Carta, finora ratificata da 23 Paesi, «chiarisce quali debbano essere gli obiettivi e i principi ai quali gli Stati firmatari sono tenuti ad adeguare la propria politica legislativa. Prima di tutto, riconoscere le lingue regionali come espressione di ricchezza culturale; rispettare l’area geografica di ciascuna lingua regionale o minoritaria; agevolare e incoraggiare l’uso, orale e scritto, delle lingue in questione, sia nella vita privata che in quella pubblica; prevedere forme e mezzi per l’insegnamento e per lo studio di queste lingue, nonché promuovere studi e ricerche nelle università o presso istituti equivalenti». Il trattato per «lingue regionali o minoritarie» intende quelle «usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione e diverse dalla lingua ufficiale dello Stato». Un’espressione che «non include né i dialetti della lingua ufficiale dello Stato né le lingue dei migranti».

Manuel Massimo

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