Una colossale truffa ai danni dell’istruzione italiana. Per Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, non ci sono dubbi, il ddl Gelmini distrugge l’Università pubblica, il diritto allo studio, la ricerca e le prospettive dei giovani. Per questo l’onorevole plaude alle manifestazioni degli studenti contro riforma: “si mettono davanti forze dell’ordine e manganelli per cercare di fermare la democrazia che avanza, la voglia di libertà e di cambiamento”.
Onorevole Di Pietro perché la definisce una “colossale truffa”?
Questo obbrobrio legislativo che il governo chiama “Riforma” ha tagliato testa, gambe e fondi al sistema universitario e alla ricerca italiana. I titoli sono allettanti, parlano di lotta alle baronie, meritocrazia, incentivi per l’eccellenza, lotta al precariato nell’università, diritto allo studio e modernizzazione. Ma quando si passa ai contenuti, la riforma rivela una realtà esattamente opposta a quanto pomposamente annuncia. Faccio solo un esempio per spiegare la truffa che si nasconde dietro questa legge: il subemendamento che dice di voler combattere le baronie quando in realtà le incentiva. L’Italia dei Valori ha presentato un emendamento che vietava di chiamare presso un ateneo chiunque avesse parenti in quella stessa università. Di contro la Gelmini ne ha fatto presentare un altro in cui si prevede che il divieto scatti solo se il parente insegna nello stesso dipartimento che ha effettuato la chiamata. Per uscire da un dipartimento ad un barone basta scrivere una letterina e per rientrarci basta scriverne un’altra. Così chi vuol fare assumere il parente o l’amico di turno dovrà solo uscire dal dipartimento per poche ore e poi rientrare – giusto il tempo di far assumere il raccomandato. Ecco spiegato l’imbroglio che trasforma le nostre università nelle porte girevoli dei Grand Hotel. Questo è quello che noi chiamiamo truffa, e non riforma. Per non parlare dell’ingresso dei privati nei cda degli atenei, una misura che vuole solo scimmiottare una tradizione americana, dove però non è permesso ai privati di indirizzare le ricerche a loro piacimento e a costo zero, ma solo di finanziarle.
Avete presentato un emendamento a tal proposito…
L’Italia dei Valori ha presentato un emendamento che vietava di chiamare presso un ateneo chiunque avesse parenti in quella stessa università. Di contro la Gelmini ne ha fatto presentare un altro in cui si prevede che il divieto scatti solo se il parente insegna nello stesso dipartimento che ha effettuato la chiamata. Per uscire da un dipartimento ad un barone basta scrivere una letterina e per rientrarci basta scriverne un’altra. Così chi vuol fare assumere il parente o l’amico di turno dovrà solo uscire dal dipartimento per poche ore e poi rientrare – giusto il tempo di far assumere il raccomandato.
Se non passasse in Senato è a rischio il miliardo di euro da destinare agli atenei nel 2011?
No, perché si tratta di stanziamenti previsti dal maxi emendamento alla legge di stabilità in esame al Senato. Non dimentichiamo, però, che prima dell’approvazione della riforma all’università erano già stati sottratti 1,4 miliardi. Questo mentre la Francia ha previsto di investire nel settore 5 miliardi di euro in più per i prossimi 5 anni e la Germania, un miliardo e 800 milioni in più nei prossimi due anni. Lo hanno fatto e lo fanno perché sanno che l’università pubblica ha il dovere di creare conoscenza oltre che trasmetterla. Ma in Italia il Governo si conferma insensibile a questa materia.
Ritiene che sia una riforma completamente da buttare?
Ci sono delle novità interessanti, ma sono poche e annegano nel calderone di questo nefasto provvedimento. Stabilire un limite al mandato dei rettori è una cosa positiva, che anche noi chiediamo. Ma la Gelmini, mentre da un lato pone una soglia massima di sei anni e stabilisce la possibilità che i rettori vengano sfiduciati dal Senato accademico, dall’altra aumenta i loro poteri, i rettori possono cioè presiedere il consiglio d’amministrazione e proporre il direttore generale. Inoltre la legge non vieta che dopo il mandato di sei anni possano ricandidarsi in un altro ateneo. L’Idv sta dalla parte degli studenti, dei lavoratori e di quella società civile che è stanca di vedersi prendere in giro e che sta cercando di dare una spallata a questo governo prima che si decida a farlo il Parlamento. Per questo motivo quando il regime di Berlusconi sarà definitivamente finito, non dovrà restare traccia delle sue false promesse, né tantomeno di questa beffa che va a colpire proprio l’elemento che sta alla base dell’evoluzione del Paese, cioè la possibilità di far crescere la cultura. Lo ripeterò fino allo sfinimento che questa riforma è solo un modo per lasciare i nostri giovani nell’ignoranza, proprio come si usa e si è sempre usato nei più abominevoli regimi. Negare investimenti alla cultura e preferire spendere soldi per armamenti e guerre, vuol dire negare all’Italia la possibilità di crescere e competere con il resto del mondo.
Il suo gruppo politico quali modifiche apporterebbe a questo ddl
L’Italia dei Valori è convinta che il sistema universitario italiano abbia bisogno di una buona riforma che punti concretamente a migliorarlo e non ad umiliarlo e penalizzarlo come nel caso di quella firmata dalla Gelmini. Il nostro programma prevede innanzitutto investimenti a favore della formazione scientifica e dell’addestramento alla ricerca. Questo significa bloccare la moltiplicazione delle sedi e dei corsi di laurea, scoraggiare l’afflusso studentesco verso corsi di laurea che offrono scarse prospettive occupazionali e rafforzare le esperienze di scambio europeo. Fondamentale è poi il reclutamento dei giovani ricercatori anche attraverso risorse finanziare adeguate da destinare alla ricerca scientifica sulle fonti di energia rinnovabili, sul riciclo dei rifiuti, e alla loro applicazione diffusa. Abbiamo proposto anche un piano triennale, per la stabilizzazione dei precari con formulazione di proposte economiche per l’eventuale prepensionamento del corpo docente eccedente. Per noi gli investimenti in ricerca e agli istituti universitari dovrebbero passare dall’1% attuale agli standard europei del 3% del Pil. Infine sosteniamo la necessità di una revisione del sistema delle carriere e del reclutamento dei docenti, ma che nono sia “a chiamata” e a “discrezionalità dei baroni”. Le regole vanno decise sulla carta e devono passare dai concorsi, non certo dalle chiamate.
Anna Di Russo
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