Norman, ricercatore suicida dimenticato dalle istituzioni. E il padre scrive a Napolitano

dottorando suicida

Non riusciva a trovare lavoro: Norman Zarcone, studente modello con laurea in Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione, conseguita con tanto di lode, iscritto all’albo dei giornalisti come pubblicista, dottore di ricerca all’Università di Palermo. Norman è morto suicida il 13 settembre 2010: tre mesi dopo avrebbe conseguito il titolo. Suo padre, Claudio Zarcone, però, non si è mai arreso. Non si è mai dato pace, e da quel giorno chiede alle istituzioni di intervenire, di riconoscere un debito morale al figlio.

L’ultimo appello Claudio Zarcone lo ha fatto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano in una lettera piena di dolore e di rabbia: “Egregio Presidente, sono Claudio Zarcone, il padre di Norman, “suicidato” da quel sistema infetto che oggi viene comunemente chiamato delle “baronie universitarie”, nel pomeriggio brumoso del 13 settembre 2010″, scrive Zarcone.

“Lei conosce già la storia. Sa pure che il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, aveva lanciato un appello per far sì che il 13 settembre diventasse “Giornata del merito universitario in memoria di Norman Zarcone”. Fra i primi firmatari della petizione del Sindaco figurano notissimi intellettuali: Massimo Cacciari, Gianni Vattimo, Marcello Veneziani, Franco Cardini, Armando Plebe, Fulvio Abbate, Ignazio Marino, Sandro Musco. Ma la politica, come al solito, ti dà al massimo una pacca sulla spalla. Ed io sono stanco di pacche sulle spalle, voglio invece gridare con la voce di mio figlio”.norman

“Sono stato ricevuto a Roma, presso il Miur (giorno 17 dicembre 2013), dal professor Marco Mancini e dal dottor Bani, rispettivamente dirigente generale e segretario particolare della ex ministro Carrozza – prosegue la lettera – e si è anche parlato del dottorato alla memoria mai concesso a mio figlio, quantunque egli fosse a tre mesi circa dalla conclusione di quel dottorato senza borsa. Da allora non ho ricevuto nessuna notizia, malgrado i miei solleciti per posta elettronica e telefonicamente. Eppure mi era stato detto che avrei ricevuto una risposta nel giro di due-tre giorni (sic!), eppure è già caduto il governo Letta e siamo nel 2014, con Renzi”.

“Sono stato ricevuto ancora giorno 23 aprile 2014, sempre al Miur, dal professor Alessandro Leto, segretario particolare dell’attuale Ministro Stefania Giannini: anche in questo caso, malgrado le mie telefonate ed e-mail, il silenzio istituzionale ha trionfato dopo l’incontro”.

Ma la cosa più grave gliela sto per raccontare, Presidente. Poche ore fa sono stato invitato dal rettore di Palermo alla consegna delle pergamene di dottorato col sigillo del Rettorato ai dottori di ricerca, alla presenza del Ministro Giannini. A Norman, per la pervicace opposizione dei baroni il dottorato alla memoria non è stato mai concesso, allora il Rettore mi ha comunicato che mi avrebbe consegnato una pergamena alla memoria “senza alcun valore giuridico” alla presenza del ministro. Posto che mio figlio non potrebbe usare quel titolo, anche se fosse stato ufficiale, riconosco che il rettore Lagalla ha adoperato una certa diplomazia non potendo obbligare il collegio dei docenti al riconoscimento ufficiale”.

“Allora chiamo la segreteria del Miur chiedendo cinque minuti del tempo della professoressa Giannini, dal momento in cui saremmo stati nello stesso posto, alla stessa ora, sullo stesso palco. Mi è stato detto che il ministro ha i minuti calcolati e che non avrebbe potuto ricevermi in udienza privata neanche per cinque minuti. Tutto ciò è avvenuto alle ore 17,00 circa del 6 giugno: presumo che ogni telefonata ad un Ministero sia registrata o verificabile. A quel punto ho avvertito il rettorato che non avrei partecipato per motivi miei personali. Ma è gravissimo che un ministro che si sarebbe trovato lì, a due passi da me, nello stesso tempo e luogo, non abbia avvertito l’esigenza di perdere cinque minuti del suo prezioso tempo”.

“Sono queste le Istituzioni vicine ai cittadini? Me lo dica Lei signor Presidente. Ho scritto anche a Matteo Renzi un sacco di volte, perfino alla posta elettronica del PD (dalla posta certificata del Governo si potrà verificare quante volte abbia scritto al Presidente del Consiglio) e non ho mai ricevuto nemmeno uno straccio di risposta. Dopo la morte di Norman io ho scelto la via della battaglia civile, mia moglie quella dello spirito. Ebbene le nostre due vie sono diventate inconciliabili. Una famiglia ormai distrutta e un ministro della Repubblica si nega. Un presidente del Consiglio tace del tutto. Sono molto scoraggiato, mi creda. Un forte abbraccio”.

A Norman è stata dedicata un’aula universitaria e una strada. Ma, evidentemente, non basta. Eppure, basterebbe davvero un piccolo gesto per onorare la dignità di un ricercatore, di un padre, di una famiglia intera.

RN

 

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