Rapporto Ocse: l’Italia fanalino di coda nella classifica degli insegnanti più giovani. “Servono riforme”

insegnanti

L’Italia è il Paese dell’area Ocse con meno insegnanti giovani, con il record di insegnanti  di età compresa tra i 50 e i 59 anni e tra quelli che hanno il maggior numero di formatori ultrasessantenni. Il poco invidiabile record mondiale è contenuto nello studio di genere dell’ultimo rapporto Talis-Ocse: da una esauriente tabella di approfondimento della scuola secondaria superiore, pubblicata in queste ore dalla rivista specializzata “Orizzonte Scuola”, si evince che la nostra Penisola è l’unica ad annoverare meno dell’1% di insegnanti di ruolo al di sotto dei 30 anni di età anagrafica. È tutto dire che nella media dei 32 Paesi Ocse, i prof under 30 si collocano attorno al 12%, con punte europee (il Belgio) del 24% e Oltreoceano (Singapore) dove addirittura quasi un docente su tre (il 32%) ha meno di 30 anni.

Ma l’Italia si contraddistingue non solo perché ha tra i suoi docenti di ruolo pochissimi giovani, ma anche perché fa parte del primo gruppo di Paesi Ocse con più ultrasessantenni: subito dopo Norvegia, Svezia e Croazia, siamo sempre noi a primeggiare. Con circa il 12% di prof over 60enni, che inglobando anche i docenti degli altri ordini scolastici sono già oggi più di 70mila. Il sistema scolastico italiano, come se non fosse sufficiente, è quello che in splendida solitudine vanta la più alta percentuale di insegnanti con una età che varia tra i 50 e i 59 anni: quasi il 40%, un numero altissimo. Basta dire che la media Ocse di questa fascia di anagrafica di prof è appena superiore al 20%.

Tra i parametri più significativi va poi ricordato quello dell’età media dei nostri insegnanti, giunta ormai a 51 anni. Mentre nelle forze di polizia italiane è appena di 41. Tra l’altro, i numeri sono destinati a salire: poiché dai calcoli Ocse risulta che quasi l’80% degli insegnanti è donna (percentuale che sale fino a quasi l’82% se nel computo si inseriscono anche gli altri ordini di scuole), non bisogna sottovalutare il fatto che l’onda lunga della riforma pensionistica Monti-Fornero deve ancora giungere: per compiersi, entrando a regime pieno, infatti, necessita ancora di alcuni anni. Oggi una donna che lavora nella scuola lascia il servizio mediamente a 62-63 anni, ma quando la riforma sarà portata a termine, potrà farlo solo a 67-68 anni. Facendo così inevitabilmente innalzare la presenza di docenti con i capelli bianchi.

“In attesa della collocazione della professione tra quelle logoranti e di un alleggerimento dei parametri (contributi più età) necessari per andare in pensione, poiché la professione è ad alto rischio burnout, – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , l’amministrazione potrebbe intervenire, già in occasione del prossimo rinnovo contrattuale, introducendo la figura del docente cosiddetto ‘senior’: si tratta di coloro che hanno svolto oltre 20-25 di insegnamento e che anziché continuare a stare dietro alla tradizionale cattedra diventerebbero una sorta di tutor dei nuovi colleghi, fornendo in tal modo un prezioso aiuto alle nuovi generazioni d’insegnanti”.

“C’è poi da ricordare che ancora oggi il 15% degli insegnanti lavora per l’ordinario funzionamento con contratti a tempo determinato: nell’a.s. 2013-2014 sono stati sottoscritti quasi 140mila contratti annuali. Se si vuole ringiovanire il corpo docente – continua Pacifico –, lo Stato si metta in testa che deve assumere da subito il personale in lista di attesa su tutti i posti vacanti. Immettendo in ruolo già questa estate 60mila docenti e Ata (non i 32.500 chiesti dal Miur al Ministero delle Finanze). E permettendo a tutti coloro che sono abilitati o che sono in procinto di abilitarsi – 11mila con Tfa ordinario, oltre 10mila laureati risultati vincitori e idonei all’ultimo ‘concorsone’ ma non immessi in ruolo, le diverse migliaia che ogni anno si laureano in Scienze della formazione primaria, i 65mila PAS – di inserirsi nelle graduatorie ad esaurimento. Se invece si vuole continuare a stare in fondo alla classifica dei Paesi Ocse – conclude il sindacalista Anief-Confedir – è bene ricordare ai nostri decisori politici che l’ordine di svecchiamento potrebbe presto arrivare da Lussemburgo”.

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