Riccardo Muti e la figura del Maestro: “Ricordo quando mi mise a pane e acqua”

riccardo muti

Riccardo Muti ricorda, in una lettera riportata da Donatella Longobardi sul Mattino, i suoi primi passi al Conservatorio. Con l’affetto e l’ammirazione per una persona fondamentale per la sua carriera. Il Maestro: Vincenzo Vitale.

“Quando pochi mesi fa sono tornato a Napoli, in Conservatorio, per l’inaugurazione di una sala intitolata a mio nome, ho chiesto alla direttrice Elsa Evangelista di farmi rivedere l’aula dove avevo studiato con Vincenzo Vitale. Sembra strano, in tanti anni ho spesso visitato il San Pietro a Majella, ma non ero mai tornato in quella piccola aula del secondo piano, la prima nel corridoio a destra. Non mi emoziono spesso, quella volta però, mi sono emozionato. Ricordavo le tante ore passate lì, un pianoforte a mezza coda, delle seggiole di paglia, una lampadina dal soffitto. E il Maestro che, quando necessario, accompagnava con una mano le note eseguite dai suoi allievi.

Nessun lusso, nessuno di quei confort che si possono trovare oggi in prestigiose istituzioni musicali dove sono stato inviato nel corso della mia carriera, in tutto il mondo. Però lì c’era la storia, c’era la cultura, c’era la sacralità. E c’era, soprattutto, il maestro Viale, scomparso esattamente 30 anni fa, il 21 luglio, lasciando un vuoto incolmabile nel mondo della musica. Napoli, città spesso avara con i propri figli, gli deve molto. So che in Conservatorio si preparano a ricordarlo, ma forse proprio tra le mura di quell’antico convento bisognerebbe lasciare un’impronta più concreta del suo passaggio, intitolargli un’aula, realizzare un busto.

Perché Vitale non è stato solo il mio maestro, ma ha allevato, a Napoli, generazioni e generazioni di fior di musicisti. E perché lui insegnava la musica. Una dote rara. Nella mia formazione ho avuto la fortuna di studiare direzione con Antonio Votto e composizione con Bruno Bettinelli. Però il fondamento di tutto me lo ha dato Vitale. Nino Rota, che mi ebbe come allievo giovanissimo al Conservatorio di Bari, e a cui devo tanto della mia vita musicale, fu molto contento della decisione della mia famiglia di trasferirsi da Molfetta a Napoli, nel 1957 – una decisione appoggiata soprattutto da mia madre, napoletana, per fare in modo che io e i miei fratelli avessimo la possibilità di formarci nei licei e nell’Università della città. Lì, mi disse Rota, avrei incontrato il più grande maestro di pianoforte italiano, Vincenzo Vitale.

Fu la prima volta che sentii il suo nome.. e così mi preparai all’incontro con l’intenzione di fare bella figura. Al sagio, a Bari, avevo preparato il Carnevale di Vienna di Schumann e lo suonai nel corso della prima lezine, nella sua casa di via Mergellina davanti a un panorama mozzafiato. Eseguii il pezzo con impeto e la speranza di impressionarlo. Lui non mi disse nulla, non mi fece i complimenti. Credette subito nelle mie doti. Però mi mise, come suol dirsi, a pane e acqua. Mi fece abbandonare quello che avevo imparato fino ad allora e mi impose quegli esercizi ortopedici per le dita, tipici della sua straordinaria tecnica e della grande scuola pianistica napoletana che affonda le radici in Sigismondo Thalberg. Passavo ore e ore al pianoforte, i miei familiari mi avranno odiato per quei martellamenti continui, monotoni. A quei tempi non pensavo affatto di diventare un direttore d’orchestra. Imparavo il pianoforte, la musica, e imparavo, dal Maestro, cos’era una frase musicale, la fedeltà al testo.

La differenze tra un interprete e un altro è data proprio da come si conduce una frase che nasce da esigenze fisiche, ha una sua traiettoria basata non solo sull’istinto ma su una sua necessità interna, interiore, che spinge a raggiungere i punti agogici in un certo modo. È quello che continuo a fare oggi, a volte con certa severità – soprattutto con i cantanti – spiegando che la sensibilità personale non deve oltraggiare il cammino interiore della frase che si svolge attraverso sua necessità armoniche indicate dall’autore. Un concetto fondamentale che non appartiene ai dilettanti ma solo ai grandi interpreti. Come Vitale mi ha insegnato”.

 

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