Once Erasmus, always Erasmus

14 novembre 2017.
Capisco di avercela quasi fatta. Di aver superato momenti difficili, ostacoli (emotivi) che sembravano insormontabili, aver sconfitto mostri (a volte immaginari) e buttato giù muri (anche in me stessa) che pensavo non sarei riuscita ad abbattere. Ho superato due mesi e mezzo di Erasmus e ne resta uno (abbondante). Un misero mese di cui sento già la mancanza. Perché ora mi rendo conto che è l’ultimo, che dopo non ne arriverà un altro e poi un altro ancora.
Sono convinta di non aver vissuto al meglio questo Erasmus, di essere partita con aspettative forse troppo alte, con troppi piani da rispettare ed emozioni che mi ero imposta di dover vivere. Invece ho pianto, tanto. Ho faticato e ho reso difficile il cammino a chi mi sta attorno, in particolare a distanza. Ho fatto soffrire la mia famiglia, gli ho fatti stare in pensiero quando mi hanno portata all’ospedale a San Pietroburgo, gli ho fatti stare allerta quando dicevo di essere tornata a casa di notte da sola, nella via buia di casa mia, in una città a loro sconosciuta, gli ho fatti piangere a fianco a me quando videochiamavo con le lacrime che non la volevano smettere di scorrere sulle guance. “Ma ce la posso fare” continuavo a dire, Volevo farcela perché era quello l’obiettivo del mio Erasmus, la più grande sfida con me stessa. Sono venuta qua per crescere, no?
E allora ho superato anche la crisi di fine settembre. Quelle tre settimane tra la fine del periodo “di novità” e la gita in Polonia, che ha fatto cambiare le cose, che è stata il momento di epifania di questo Erasmus e non solo. Quei giorni erano difficili, non saprei con che altre parole definirli. Era come se ci fosse un filo spinato tra me e i miei sorrisi, come se piangere fosse la soluzione a tutti i mali, alla nostalgia, alla solitudine, alle difficoltà della lingua, alle mancanze, ai dispiaceri, a quei kilometri che non riuscivo proprio a colmare nonostante tutte le tecnologie. Sono soddisfatta però di non aver mai pensato, seriamente, di voler tornare a casa, rinunciare a tutto questo: prima di partire avevo avvisato i miei genitori, avevo chiesto loro, qualora si fosse presentata una crisi simile, di non dirmi mai “si va bene, torna”. Perché era proprio questa una delle motivazioni che mi avevano spinto a partire, oltre alla volontà di migliorare con l’inglese, aprire la mia mente a nuove culture e scoprire un angolino in più del mondo. La vera sfida contro me stessa era di Farcela, imparare a cavarmela da sola, nonostante tutti gli intoppi che la vita avrebbe potuto porre davanti a me, nonostante questa dannata nostalgia che non mi faceva essere la persona che gli altri erano abituati a vedere. Il mio ottimismo nascosto, gli occhi spenti, la testa altrove, la tensione nei muscoli e la voglia di non essere nel posto in cui ero. Ma tutto ciò andava superato, dovevo solo volerlo, e la motivazione non andava cercata negli altri, grazie agli altri, con gli altri. Dovevo trovarla io, da sola, in me stessa, e continuare a coltivarla perché non mi sarebbe servita solo in questi pochi mesi in Lituania ma mi sarebbe stata utile per la vita. Perché la personalità bisogna costruirla, mattone su mattone, a piccoli pezzi, volta per volta, nel tempo e nonostante le difficoltà, i terremoti e gli uragani.
Ed eccomi qua, a metà novembre, con 21 anni, da sola sul un divano a 2052 kilometri da casa, a mettere giù pensieri, a cercare di chiarire nella mia testa quello che è accaduto fino a oggi, e quello che potrà ancora avvenire di tanto stupendo e incredibilmente forte non solo in questa esperienza, ma nella vita. Credo che l’Erasmus non sia solo una parentesi felice nel percorso universitario di una persona. Mi auguro che in particolare possa essere un punto di svolta, anche quando si crede che la propria vita vada bene così, che non ci sia nulla da cambiare. L’esperienza vissuta all’estero entrerà con prepotenza e andrà ad influire, inevitabilmente, con la routine quotidiana vissuta in Italia. E vedremo il mondo con occhi diversi, con uno spirito diverso, affronteremo ogni giorno con una grinta differente. Saremo pronti a tutto questo.
Once Erasmus, always Erasmus.

Total
0
Shares
Lascia un commento
Previous Article

Dispersione scolastica, ogni anno 135mila giovani abbandonano gli studi

Next Article

Brexit: Fuga di massa dei cervelli dalle università. A rischio soprattutto Economia e Lingue

Related Posts
Leggi di più

Granada a Colori

Per uno studente in Erasmus a Jaén, Granada è diversa dalle altre città dell’Andalusia che visiterà durante la … Leggi tutto