"Parigi ha la chiave del cuor"

Il mio Erasmus parte da Gent e tocca l’Europa, rimpicciolendola a tal punto da poterla custodire in un trolley acciaccato ma coraggioso.
Ogni città ha una storia.
Ogni posto volti e sguardi.
Mi sono persa nelle vite altrui centinaia di volte.
Comincia con Parigi il racconto della mia piccola grande Europa. Parlo di luoghi ascoltando solo le loro parole.
 

Capitolo 1: Parigi

Ottobre bussa alle porte ma sui gradini del Sacre Coeure è fine estate.

I fianchi abbronzati non si arrendono e vogliono fare capolino dai jeans a vita alta. Un filo di vento riesce a infilare la sua mano timida e svelta tra la giacca di pelle: è un ragazzo al primo appuntamento che chiede di accarezzare una schiena ancora calda d’estate. Sorseggio scadente vino rosso in uno squallido bicchiere di plastica: è quello che stasera passa il convento ma va bene uguale. Sono stanca ma non demordo, il vento fanatico mi corteggia e mi da coraggio. Spettinata, mi affaccio al panorama. Ho Parigi ai piedi. Poco più in là, un ragazzo e una ragazza parlano tra loro. Ascolto e sto zitta, che siano gli altri a riempire la scena con i dialoghi: a me stasera va solo Parigi e il mio vino rosso.
 

 
“Vabè, ma cos’è che ti piace di questa cacchio di città dell’amore?”
“Guardala…è estesa, immensa. Ma riesci a coglierne i dettagli anche da lontano. La vedi quella boulangerie laggiù?”
“Ma che ne sai che sia proprio una boulangerie?”
“Lo immagino, scemo”.
Provo ad immaginare anch’io.
 

 
Immagino e vedo: persiane bianche, vinili, calici e profumo di caldo.

Coppie che ballano alle finestre e il mondo freddo e brutto che resta fuori.
Gentilezza ed eleganza. Poco calore, tanta armonia.
Donne in chignon e uomini in trench.
Bambini educati e vivacità distinta. Baci appassionati e caffè bollenti.


 
I ragazzi vicino a me sono diventati Monica Bellucci e Vincent Cassel. Brilla la Tour Eiffel nelle loro pupille dilatate.
Quando ho smesso di capire Parigi, l’ho sentita.

 
Ho sentito con timidezza le sue ferite e le sue resurrezioni. Ho cercato le sue sconfitte e le sue rese. Ho percepito la vittoria delle speranze sulle paure. Ho risentito il freddo del 13 novembre guardandola dall’alto.
 

 
Decido di fidarmi degli innamorati che si sussurrano per sempre, a loro affido la mia Parigi.
Che sia per sempre anche solo per una sera: ogni promessa, qui ed ora, è ancora intatta. Sorrido e butto giù un altro sorso: ogni imbecille incontrato nel tracciato non mi ha insegnato niente. Anzi, forse qualcosa sì: “viaggiare è come innamorarsi. Il mondo si fa nuovo”. Il giro del mondo posso farlo da sola.
 
 

Nicoletta Labarile

 

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