Classifica università, migliorano le italiane: Sapienza prima per Antichità

21/05/2002 UNIVERSITA’ LA SAPIENZA .

L’ultima classifica Quacquarelli Symonds world rankings by subjects sulle università registra un’altra avanzata degli atenei italiani. L’Italia, in particolare, con i suoi 44 atenei citati in 48 discipline sfiora il podio con una quarta posizione in Europa per numero di università dopo Regno Unito, Germania e Francia e il settimo al mondo. Mentre è la terza nazione europea, ancora, per la quantità di posizioni occupate. Diciotto università italiane sono state classificate tra le prime cento per 36 distinte discipline.
Progressi costanti che portano in graduatoria un ateneo in più rispetto al 2018 e confermi un’eccellenza come il dipartimento di Antichità della Sapienza di Roma, primo al mondo. Inoltre, si può notare come nella top 50 ci sono cinque italiane in più (quest’anno sono 34), nella top 100 quindici in più (ora sono 98) e nella top 200 ventitré in più (236 in tutto).

Brilliamo nelle aree Scienze della Vita-Medicina. E sulle specifiche discipline in Fisica e Astronomia, Medicina ed Economia & Econometria. Il Sud morde il freno ma vi sono delle eccezzioni.
La Sapienza conferma il risultato dello scorso anno: l’unica università Italiana classificata prima al mondo per Studi classici e Storia antica. Il primo ateneo italiano per dimensioni è quinto nel mondo per qualità a pari merito con altri diciotto (Cambridge compreso). Confermando la sua forza nei “Classics”, l’università romana è undicesima in Archeologia, 34a in Fisica, 43a in Biblioteconomia. Aggiunge cinque discipline tra le prime cento classificate al carnet 2017 e avanza in quattro delle cinque macroaree. Il rettore Eugenio Gaudio commenta:”ll primato assoluto negli studi classici è il riconoscimento della centralità culturale del Paese: questo patrimonio costituisce la base valoriale fondante della nostra società e abbiamo il dovere di trasmetterlo ai nostri studenti perché offre strumenti di analisi e competenze trasversali che fanno la differenza anche in un mercato del lavoro in cui tecnologia e competenze tecnico-scientifiche si evolvono con estrema rapidità, diventando obsolete in poco tempo”.
Nel mondo Harvard (Boston) guida, prima in dodici discipline, davanti al Mit del Massachussets (undici). Poi Oxford con sei e Ucl college di Londra. “Dal 2015 gli Stati Uniti hanno perso il 10 per cento delle loro performance, in particolare negli studi umanistici. Assistiamo a una progressiva erosione della preminenza delle università americane sostituite, in alcune specializzazioni, da atenei dell’Australia, della Cina e del Regno Unito. A incidere sono i tagli ai finanziamenti e le restrizioni alla mobilità degli studenti”, viene sottolineato nel report.
Al Nord cresce anche Politecnico di Milano, tra i migliori dieci in tre discipline: sesto in Arte & Design (perde una posizione), settimo in Ingegneria civile (ne guadagna due) e settimo in Ingegneria meccanica (avanza di dieci). L’Università di Bologna è la seconda italiana rappresentata in classifica e il migliore degli atenei nazionali in quattro materie: Arte e studi umanistici, Lingue moderne, Scienze agro-forestali e Odontoiatria.  Mentre l’Università di Padova, trentaseiesima al mondo in Anatomia (perde, tuttavia, undici posizioni nel confronto mondiale). Tra le private la migliore rimane la Bocconi di Milano, ottava al mondo per Business & Management (+2), sedicesima in Economia (comferma) e diciottesima in Finanza (+11).
Ben Sowter, responsabile della ricerca e analisi di Qs, commenta: “L’Ocse segnala come l’Italia sia tornata ai primi posti nel mondo per emigrati, è ottava. Si stima che un terzo siano giovani laureati. Il Paese investe 164 mila euro per formare un laureato e 228 mila euro per un dottore di ricerca, investimenti di cui beneficiano sempre più altri Paesi. I laureati italiani sono tenuti in alta considerazione dai recruiter internazionali e la loro propensione ad assumerli è elevata, la preparazione dei vostri studenti è competitiva”. Una sfumatura drammatica che conferma la difficoltà del sistema economico italiano a trattenere i cervelli formati dal mondo accademico.

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