Che l’Italia non fosse un paese per giovani è un mantra che viene ripetutto costantemente anno dopo anno. Che fosse una prospettiva senza ritorno è un orrore generazionale che potrebbe investire un’intera nazione. E a ricordarcelo arriva la relazione annuale della Banca d’Italia sullo stato finanziario del paese e sul suo futuro, possibile. “L’Italia invecchia rapidamente e la popolazione tende a ridursi — ha detto Visco — sono caratteristiche comuni a molti Paesi, più marcate da noi”. Nei prossimi 25 anni la popolazione compresa tra 20 e 64 anni diminuirà di sei milioni, “nonostante l’ipotesi di un afflusso netto dall’estero di 4 milioni di persone in questa classe di età”. La quota degli over 65 nell’Unione europea sarà pari al 28 per cento. Da noi toccherà il 33 per cento.
La quota dell’emigrazione giovanile è quintuplicata in dieci anni. Quella dei laureati è raddoppiata: solo 2018 se ne sono andati all’estero in 120 mila Poi ci sono i migranti interni. Sempre secondo la relazione della Banca d’Italia, nel decennio 2007-2017 il Mezzogiorno ha registrato un deflusso netto verso le altre regioni di 480 mila persone, quasi la metà degli abitanti di Napoli. Il Sud ha perso 193 mila laureati, di cui 165 mila verso il Centro Nord. Nello stesso arco temporale dal Nord se ne sono andati all’estero 300 mila cittadini, di cui 69 mila laureati. Quota 100 si riteneva che potesse liberare posti per i giovani. Ma è lo stesso vicepremier Salvini, fautore della “riforma” ad ammettere nelle scorse settimane che si libererà “un posto di lavoro ogni due persone che andranno in pensione”. Lo stesso Reddito di cittadinanza, sempre leggendo la relazione della Banca d’Italia, “nel confronto con il Reddito d’inclusione, è relativamente meno generoso per i nuclei con minori rispetto a quelli con soli adulti”.
Inoltre l’Italia attrae pochi talenti. Secondo una recente classifica Ocse il Bel Paese è quart’ultimo: dietro solo Grecia, Messico e Turchia per quanto riguarda i lavoratori altamente specializzati, con master o dottorati. Non si può dire poi che l’occupazione giovanile sia in ripresa. Nel 2018, attingendo sempre alla relazione della Banca d’Italia, il tasso di attività, tra 15 e 24 anni è sceso; tra 25 e 54 anni è rimasto stabile. Come scrive Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera “non basta questa consolidata carenza a spiegare la costante sottovalutazione culturale dell’investimento nei giovani. Atteggiamento tipico di una società anziana, refrattaria all’innovazione, in ritardo nel cogliere le sfide del mondo digitale, in parte ripiegata su sé stessa”. E ancora, nella relazione di Bankitalia si può leggere: “Ciò è il riflesso di un ridotto livello di conoscenze e competenze di giovani e adulti”.
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