Ricerca, la Waterloo italiana dei premi Erc

Scendiamo al quarto posto in Europa come “borse di studio” ottenute per nazionalità e crolliamo al dodicesimo per i progetti realizzati direttamente nel nostro Paese. Sono sedici, invece, i nostri studiosi premiati per lavori ideati all’estero. Trecentouno riconoscimenti totali, soltanto sette per i atenei e istituti nazionali. I ricercatori: “Così Germania e Francia si finanziano e si allontanano”
Gli scienziati italiani faticano a prendere premi e assegni dell’Unione europea, nella fattispecie i prestigiosi e robusti Erc. Sempre più, inoltre, i nostri ricercatori competitivi portano la loro dote – fino a due milioni di euro annui per la ricerca premiata – in atenei, centri di ricerca e laboratori del resto d’Europa. Con ventitré “grants” assegnati dal Consiglio europeo della ricerca, e resi pubblici ieri, nel 2019 siamo diventati quarti nel continente (tenendo conto della nazionalità del vincitore) in questa gara scientifica governata dal programma Horizon 2020. Ecco, i ricercatori italiani premiati quest’anno sono arrivati dietro i tedeschi (55 grants aggiudicati), i francesi (33) e gli olandesi (28). Davanti agli inglesi, gli israeliani (in crescita), gli spagnoli. Siamo in arretramento, visto che nel 2017 eravamo al terzo posto con 43 premi totali e secondi nel 2018 quando avevamo preso comunque 42 borse di studio. Il punto nevralgico e doloroso, però, è che soltanto sette scienziati su ventitré, meno di un terzo, hanno conseguito il riconoscimento in Italia. Nel 2017 furono diciannove e dodici nel 2018. La fuga del ricercatore e della sua borsa di studio sono un male antico che va peggiorando: il crollo dei premiati, in casa e fuori, è verticale.
Va detto che tra gli italiani gratificati all’estero – sedici – siamo addirittura secondi dietro la Germania (sono venti i tedeschi che hanno lasciato il loro Paese per studiare e brevettare). Siamo migranti altamente qualificati e di massa. Sulle vittorie di sistema – mente italiana e ateneo italiano – siamo invece superati da Belgio, Danimarca, Norvegia.
Un finanziamento da 600 milioni
Il Bando Consolidator dell’European research council ha visto 2.453 proposte totali e 301 premi assegnati (per 600 milioni di euro). Solo il 2,3 per cento è arrivato in Italia. L’assenza di una macchina centrale che finanzi la scienza nazionale a crescere e con puntualità, e poi controlli e spinga il lavoro dei suoi ricercatori, si sente. Il progetto dell’Agenzia nazionale per la ricerca è in Senato, in Legge di bilancio, con 300 milioni di euro incubati e in attesa che una teoria di emendamenti di maggioranza sottarraggano alla politica l’invadenza sulle nomine.
Si è visto: metà dei cervelli rientrati in Italia dopo un periodo trascorso all’estero sono ripartiti: altri stipendi, altre dotazioni tecniche, possibilità superiori di poter coltivare ambizioni e assumersi responsabilità.
“Ci trattano come una nazione da serie C”
Angela Bellia è una ricercatrice dell’Istituto per i Beni archeologici e culturali del Cnr: si è laureata a Bologna e ha studiato e insegnato in diversi Paesi europei, oltre che negli Stati Uniti, ottenendo la prestigiosa Marie Curie Individual Fellowship. Ora può dare la sua lettura della “Waterloo Erc”: “Se su 301 progetti finanziati soltanto sette saranno ospitati in Italia non possiamo che parlare di mortificazione del Paese e dei suoi ricercatori. Dei 78 progetti finanziati nel settore delle Scienze sociali soltanto uno è andato all’Italia, nelle Scienze della vita siamo a quota zero. Mettiamo milioni di euro per partecipare a questo programma e lo facciamo a vantaggio di inglesi e tedeschi. Sono tutti più bravi di noi? Vorrei chiedere alla politica chi difende il nostro lavoro. Gli amministratori si rendono conto che siamo sempre più marginalizzati e trattati come un Paese di serie C? Con un Erc si finanziano i titoli post-laurea: Germania e Francia con queste borse di studio crescono ulteriormente e allargano le distanze. Gli enti di ricerca in Europa sono macchine da guerra che spingono e sostengono i loro ricercatori, a noi restano le briciole di un tesoro spartito tra Paesi già ricchi”.
I sette tra atenei e istituti italiani che hanno ospitato le ricerche da premio sono l’Università Ca’ Foscari di Venezia (con uno studio sulla lingua greca pura), il Politecnico di Milano (sonde robotiche grandi come scatole di scarpe per l’esplorazione solare) e l’Università di Modena e Reggio Emilia, quindi l’Iit di Milano (l’Istituto italiano di tecnologia avrà due milioni per cinque anni per una ricerca sul cibo elettronico), la Sissa di Trieste (Scuola internazionale superiore di studi avanzati), la Scuola Normale superiore di Pisa (due milioni di euro per studi sul diabete) e l‘Inaf (l’Istituto nazionale di Astrofisica).
larepubblica

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