“Il coronavirus ci ha aperto gli occhi: ecco perché la ricerca deve tornare a essere una priorità”

La riflessione di un oncologo della Fondazione Airc: «Certi processi che studiamo nel cancro hanno un ruolo importante anche nella lotta all’infezione del Covid»

L’impatto dell’emergenza sanitaria è stato devastante: il laboratorio è chiuso, l’Università è chiusa, siamo tutti in lockdown e coinvolti nel distanziamento sociale necessario. La vita professionale non si è fermata. Finalmente abbiamo tempo di leggere, di meditare sui risultati ottenuti finora e sui prossimi passi che saranno necessari appena si potranno riprendere le attività. Anche l’attività di interazione nella comunità scientifica a livello nazionale e, soprattutto, internazionale è elevatissima: trascorro l’intera giornata lavorativa a casa, al computer, in teleconferenza con centri sparsi in tutto il mondo e ragiono insieme ai colleghi tanto sulla situazione attuale quanto sui nostri progetti di ricerca oltre che, in particolar modo, su concetti fondamentali del cancro che possono essere estrapolati e applicati nel campo della biologia del Covid e dell’emergenza in corso.

Abbiamo organizzato dei lab meeting settimanali e, avendo nel gruppo almeno tre-quattro piccoli sottogruppi di ricerca, questo significa che ogni settimana ne seguo almeno tre o quattro diversi. Sono convinto che riprenderemo il lavoro anche meglio di prima. Questo momento particolare, a mio avviso, fa emergere quanto sia utile la cross-fertilizzazione in ambito scientifico, ad esempio, non possiamo escludere che certi processi biologici che studiamo nel cancro abbiano un ruolo importante anche nella lotta all’infezione del Covid. Recentemente, con i colleghi mi sono trovato a discutere dell’apporto della virologia nel campo dell’oncologia. Se non fosse per i virus tumorali, virus che portano delle sequenze oncogeniche, queste sequenze probabilmente non sarebbero state scoperte così rapidamente.

Nel corso della mia carriera ho avuto la grande opportunità di conoscere e condividere l’amicizia con un virologo che ha avuto un ruolo fondamentale nella ricerca oncologica, Peter Vogt che, anche se quasi novantenne, continua a lavorare in California alla Scripps Clinic. Vogt ha passato la sua gioventù a cercare polli che fossero stati infettati da virus oncogeni in grado di determinare il sarcoma dei polli ed è stato il primo nome, nel primo lavoro, che ha raccontato al mondo dell’esistenza di un gene che causa i tumori, il gene SRC. Tra i vari geni che causano il cancro che Vogt ha trovato nei virus dei polli c’è anche un altro che mi è particolarmente caro: codifica per la proteina PI3 Kinasi – un enzima che studio da ormai più di 20 anni – ed il suo ruolo nel cancro è proprio venuto fuori studiando gli oncovirus dei polli.

In questi giorni sono stato colpito da un lutto familiare: è mancato un mio zio anziano, non a causa del Covid ma di un glioblastoma, e questo mi ha fatto molto meditare su quanto sia importante il lavoro di Fondazione AIRC e su quanto non si debba assolutamente abbassare la guardia su sfide come la lotta al cancro. Il Coronavirus ci ha fatto aprire gli occhi e, forse, ci sta facendo di nuovo capire che la ricerca è importante per salvare vite. Il ragionamento scientifico, la ricerca, e anche il conseguente sviluppo di nuove applicazioni, hanno bisogno di una serie di elementi unici e tipici della scienza, del metodo scientifico ma, soprattutto, di risorse. Lo zio che ci ha lasciati ha scelto di destinare una parte della propria eredità all’AIRC per istituire una borsa di studio in ricordo suo e di sua moglie. Spero che questo possa essere di esempio per molti altri, perché noi ricercatori possiamo continuare a lavorare per il bene di tutti.

lastampa

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