Studente morto di covid, la docente: "Ripartire in sicurezza"

Insieme all’Italia ripartono le università. Sono oltre 60mila gli studenti laureatisi da remoto durante il lockdown, centinaia di migliaia quelli che hanno sostenuto gli esami davanti lo schermo del portatile, magari in giacca e pigiama. La didattica, come nelle scuole, è spostata a settembre. Nessuna accezione.

“Siamo rientrati ufficialmente a lavoro l’11 maggio con tutte le precauzioni del caso”, spiega la prof.ssa Lucia Guidi, docente di Biochimica e direttrice del Centro di Ricerca Nootrafood dell’Università di Pisa. Ricartori, tecnici, dottorandi e tesisti dell’ateneo toscano devono seguire un rigido protocollo: “L’università si è dotata di autocertificazione obbligatoria sia per studenti che per il personale, con una distanza di tre metri in ambito lavorativo fino a nuove disposizioni”. Il personale amministrativo, invece, lavora in smartworking: “Molti colleghi hanno deciso di non tornare per ora – afferma -, il virus fa ancora paura benché ci sia una sanificazione dei laboratori e uffici giornaliera”. La sicurezza prima di tutto. “Gli ingressi sono conteingentati, soprattutto per i corsi di laurea scientifici dove è necessario l’uso dei laboratori. Ad esempio in quello del mio dipartimento non possono accedervi più di due persone contemporaneamente”, spiega.

La difficoltà maggiore delle università nei mesi del lockdown è stata quella di mantenere i servizi. “C’è stata una grande risposta da parte del corpo docente riguardo all’uso di mezzi da reomoto ai quali molti non erano avvezzi – racconta -. I sistemi adottati hanno retto e io l’ho potuto constatare personalmente come presidente del Corso di Laurea in Scienze Agrarie con le sedute di aprile”. Durante il mese critico di marzo l’ateneo pisano è stato protagonista della triste morte di un laureando proprio in scienze agrarie, lo studente camerunense Christin Kamden Tadjuiddjeì, morto nell’ospedale Cisanello per una polmonite acuta dovuta al covid-19 a trent’anni. “Avrebbe dovuto partecipare alla prima seduta, la notizia ci ha scosso tutti”, ricorda. La sessione, però, si è svolta ugualmente con la partecipazione del rettore Mancarella che ha consegnato alla comunità camerunense della città la laurea ad honorem in ricordo dello studente.

L’emergenza ha messo in risalto un’altra problematica: quella degli esami. Non tutti gli studenti fuori sede hanno l’accesso ad internet se non da smartphone che non sempre può reggere la connessone delle piattaforme video dedicate. “C’è chi si è connesso dal wi-fi del vicino – ricorda la docente -. Benché la problematica maggiore è stata quella degli esami scritti”. Gli esami, infatti, sono stati cambiati in orali dove si è potuto: “Però non sempre è possibile. Per questo abbiamo adottato delle misure come il cambio causale delle telecamere durante le sessioni e il ristringimento dei tempi di esecuzione”. Molti studenti, poi, si domandano come verrà affrontato il primo semestre del nuovo anno accademico in autunno. “Lo stiamo decidendo in questi giorni. Personalmente non sono d’accordo con eventuali disposizioni ibride ci compresenza e accesso da remoto per la didattica – spiega la prof – perché sarebbe iniquo per quegli studenti fuori sede che pagano l’affitto”. Insomma, se le disposizioni di sicurezza rimarranno le stesse, sarebbe più giusto far seguire la lezioni da casa non gravando ulteriormente sulle spese delle famiglie in una situazione economica così incerta.

L’università è stata la grande assente del dibattito sul coronavirus, ricomparsa nelle cronache per il decreto Rilancio (55 miliardi) con gli 1.4 miliardi per il comparto. Nello stanziamento, oltre mobilità, 550 milioni per ricerca pubblica e borse di studio, vi sono circa 4000 assegni di ricerca, di cui 3800, però, saranno per il comparto medico-sanitario. “Credo sia sotto gli occhi di tutti la grave mancanza di non aver investito in ricerca in questo paese. Tamponi, laboratori, reagenti, mascherine, siamo stati e siamo carenti di tutta una serie di strumenti fondamentali – afferma la prof -. Il mondo della ricerca italiano si è sempre dovuto arrangiare con fondi esterni perché quelli pubblici sono sempre stati insufficienti: anche questa volta si sarebbe potuto fare molto di più”, afferma. L’ateneo pisano, però, non si è tirato indientro dalla battaglia che si combatte sul campo, anche quella dell’informazione. “Abbiamo attivato per questa fase due una serie di tavole rotonde con la cittadinanza dove i docenti parteciperanno a disccusioni sul futuro e sull’epidemia in atto – spiega -. Dalla sanità all’alimentazione, dalla mobilità alla vita quotidiana. Che sia una vera ripartenza anche nel pensare una società nuova”.

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