Lettera di 239 scienziati all'Oms: "Covid viaggia nell'aria più di quanto si pensava"

Il Covid-19 viaggia nell’aria più di quanto si sia pensato fino ad oggi. L’allarme lanciato da 239 scienziati con una lettera inviata all’Oms che invita a rivedere le linee guida sulle misure consigliate ai governi di tutto il pianeta per il contenimento del morbo. La ricerca sembra destinata ad avere un impatto importante sulle raccomandazioni in materia di prevenzione, mettendo la parola fine a una questione che si era posta fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria ma che finora non aveva avuto una risposta univoca, ovvero quella sulla trasmissibilità aerobica della malattia.

Il New York Times ha anticipato il contenuto della lettera aperta in cui la squadra di ricercatori internazionali ha constatato al di là di ogni dubbio che la SARS-CoV-2 può trasmettersi, infettando più persone, sia tramite le goccioline più grosse che vengono ad esempio prodotte quando si starnutisce (e questo era già stato appurato) sia (e questa è la novità) da quelle più piccole e più leggere – che si formano quando si parla normalmente – capaci quindi di attraversare uno spazio. Il Nyt spiega che lo studio in questione verrà pubblicato su una rivista specializzata la prossima settimana. Intanto, però, il cambio di prospettiva appare notevole.

Fino a questo momento, infatti, l’Oms aveva ribadito a più riprese che il virus non è generalmente aerobico, sostenendo al contrario – come, da ultimo, in un documento del 29 giugno – che il Covid-19 non si trasmette per via aerea che in certe condizioni estreme, come ad esempio nel corso di una serie di procedure mediche nelle quali si generano degli aerosol, ovvero delle polverizzazioni di particelle nell’aria come ad esempio nel caso delle intubazioni, delle broncoscopie o ancora in caso di una rianimazione cardiopolmonare. Essendo i “droplet” causati da uno starnuto o da un colpo di tosse più grossi delle piccole goccioline prodotte in altro modo hanno anche una portata minore, il che ha portato l’Oms a considerare la distanza interpersonale di un metro e mezzo-due metri come sicura al fine di evitare il contagio.

Lo studio rimette proprio questo criterio in discussione, anche se gli stessi specialisti mettono in chiaro che la scoperta non debba essere un detonatore di panico in quanto, come spiega il virologo Bill Hanage, dell’università di Harvard, “Si ha troppo spesso l’assurda concezione che un virus aerobico sia presente continuativamente nell’aria a causa di goccioline sospese intorno a noi che possano infettarci per diverse ore e che queste goccioline corrano per le strade, si infilino nella buca delle lettere e si intrufolino dappertutto nelle nostre case”. Ovviamente, spiega lo scienziato, così non è: il rischio di contagio di cui si parla è relativo soprattutto agli spazi chiusi e in tal senso il nuovo studio si pone come messa in guardia all’Oms, in quanto sarebbe chiaro che le mascherine – al contrario di quanto sostenuto finora – sarebbero necessarie anche negli spazi al chiuso a prescindere dal distanziamento sociale. Da tutto ciò deriverebbe inoltre una revisione dei sistemi di ventilazione nelle scuole, negli ospizi, nelle case e negli uffici per minimizzare il ricircolo dell’aria.

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