"La Didattica a distanza ha salvato gli atenei": lo studio

I professori e i ricercatori universitari sono convinti che la Didattica a distanza abbia salvato gli atenei italiani nei tre mesi di lockdown e nei due successivi di caute riaperture. Interrogati, lo dicono otto su dieci. Ne sono così convinti che non vogliono abbandonare la Dad: il 54 per cento degli ordinari, associati e assistenti interpellati crede che le lezioni online debbano essere riproposte da fine settembre, integrate alle lezioni in presenza, per l’Anno accademico 2020-2021. Le prime miglioreranno le seconde, e viceversa.

La ricerca Universi-Dad di Francesco Ramella e Michele Rostan – Centro Luigio Bobbio dell’Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Culture, Politica e Società – è la prima indagine su quanto è avvenuto nel “semestre-Covid” nelle nostre accademie con riferimento, appunto, alla didattica a distanza. Il campione di docenti è ampio – 3.398 – e le domande, poste via questionario, sono state inviate direttamente a chi aveva allestito, condotto e alla fine compreso la qualità delle lezioni. “La prova della nostra trascurata e bistrattata università”, dice il professor Ramella, “è ampiamente positiva”.

I ritardi nell’avvio delle lezioni sono stati contenuti (il 74 per cento degli insegnanti è partito entro il 13 marzo, cinque giorni dopo il decreto di chiusura); le ore di lezione non si sono discostate, tutto sommato, da quelle previste (nei dottorati la sovrapposizione è quasi al 100 per cento); la grande maggioranza dei docenti è riuscita a svolgere tutto il programma di insegnamento, una buona maggioranza ha adattato le proprie strategie didattiche alla trasmissione a distanza (mostrando, questo 67 per cento, capacità di adattamento). Le lezioni sono state tenute prevalentemente in diretta streaming e solo il 7 per cento dei docenti si è limitato a offrire dispense, il minimo sindacale. Il numero di studenti che ha frequentato non è diminuito, in alcuni casi è addirittura aumentato (22 per cento contro il 20 dei professori che ritiene siano diminuiti). Gli esami, a chiudere, si sono svolti regolarmente.

Nello studio risalta un aspetto interessante sotto il profilo meramente didattico: le lezioni nelle aule universitarie erano meno statiche e cattedratiche, “più dialogiche” di quelle da casa a casa, persino interattive. “L’emergenza ha comportato un drastico ridimensionamento delle esperienze più innovative e la didattica si è semplificata tornando al modello tradizionale, quello trasmissivo, per quanto arricchito dalla discussione con gli studenti”.
 
Ecco, dopo il “semestre Covid” i docenti italiani si sentono arricchiti, professionalmente, dall’esperienza in Dad: hanno imparato nuove possiblità di insegnamento, conosciuto piattaforme fin lì poco frequentate. Il 54 per cento degli intervistati, quindi, vorrebbe che almeno una parte della didattica venisse svolta in futuro in “forma mista”, integrando le lezioni in presenza con attività online: crescerebbe, con questa scelta, l’apprendimento. “Potremo mettere a disposizione degli studenti più materiali didattici e arricchire l’interazione con i professori”. La Dad, anche qui, divide. Il 44 per cento degli intervistati, dice ora la ricerca, vorrebbe tornare prima possibile alla situazione precedente all’emergenza, senza mantenere nulla dell’esperienza fatta con la didattica a distanza. Solo il 2 per cento estremizza sull’altro versante: lezioni in aula abolite e sostituite integralmente.

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