Molestie all’Università, non solo studentesse: "Avances e ricatti, è successo anche a noi"

“Il docente mi ha fatto l’esame nel suo studio, a porte chiuse. Eravamo soli, in un’ala della facoltà in cui a quell’ora non c’era nessuno. Prima di iniziare, mezzora di apprezzamenti e sguardi insistenti, ho avuto paura…”. “Era il presidente della commissione di laurea, mi stava offrendo un assegno di ricerca, si è messo dietro la sedia e ha iniziato a strusciare il pube sulla mia schiena…”. “Sono professoressa associata e sono oggetto di molestie verbali da un gruppo di colleghi, tra cui un professore ordinario. Si muovono e agiscono in branco: usano toni aggressivi e perentori per ridurmi al silenzio, mimano il mio modo di muovermi, camminare e parlare anche davanti agli studenti. Nessuno mi ha mai difesa e nessuno ha preso provvedimenti, nonostante abbia denunciato quanto accade”. Sono solo alcune delle agghiaccianti molestie ai danni di studentesse universitarie che il settimanale del Corriere della Sera, Sette, ha registrato dopo un’inchiesta degli scorsi mesi proprio sul tema delle molestie negli atenei.

L’inchiesta ha fatto emergere che solo in 32 su 85 di essi si trova la figura della consigliera (o consigliere) di fiducia, ovvero la persona imparziale a cui rivolgersi per segnalare discriminazioni, molestie sessuali e mobbing. Al di là dei pochi casi denunciati, c’è dunque un enorme sommerso di prevaricazioni, ricatti sessuali, mobbing. Paura, pudore, omertà tra aule e corridoi delle Università italiane. L’inchiesta ha messo in luce una situazione che coinvolge come vittime molte studentesse, dottorande, ricercatrici e anche qualche studente o ricercatore maschio.

Tutte testimonianze di chi non ha denunciato perché scoraggiata dal sistema (“lascia perdere”, “fanno tutti così”, “poi ti impedirà di laurearti”, “è un intoccabile, inutile denunciare”), o spaventata dalle minacce di ritorsioni. “L’ateneo non mi ha tutelata — scrive una delle giovani molestate — sapevano tutti cosa succedeva. Mi hanno detto di cambiare facoltà, ma quel prof è sempre rimasto al suo posto”. “Studiavo farmacia all’Università di Padova. Andai a chiedere una tesi di laurea a un docente che mi propose di condividere gli studi con una studentessa di Bologna che stava lavorando sull’arteria spermatica, si chiamava Nara Bocchi e il suo numero di telefono era 051-696969… al momento non capii, poi quando mi resi conto restai choccata. Non ci potevo credere che un professore si permettesse una cosa del genere“. “La prima volta nel suo studio mi accarezzò e baciò. Ero paralizzata. Disse che voleva farmi partecipare a una ricerca che stava facendo, mi invitò di nuovo nel suo studio. Non mi svegliai in tempo quella mattina e saltai l’appuntamento. Lui la prese male. Temevo per il mio futuro universitario. Il professore in questione era famoso per la frequenza con cui bocciava gli studenti. Per tale ragione l’esame lo diedi in Erasmus e me lo feci convalidare. Non sapevo allora che cosa era giusto fare. E in ogni caso sarebbe stato molto difficile denunciare, lui era anche il presidente del mio corso di laurea“. “Ho subito pesanti avances da parte di un docente. Ho cambiato corso. Un paio di anni dopo, da laureata, provai a cercare su Google se la mia (ex) università avesse un contatto a cui fare segnalazione, non trovai nulla. E lasciai stare”.

Le molestie e prevaricazioni sono spesso subdole, striscianti. Avvengono dietro porte chiuse, senza testimoni. Difficile avere prove concrete. Ancora più difficile decidere di presentare una denuncia formale. Ogni ateneo è obbligato per legge ad avere il Cug, Comitato unico di garanzia per le pari opportunità e contro le discriminazioni, organismo interno formato da docenti della stessa università, spesso troppo «istituzionale» e non abbastanza tempestivo o incoraggiante nel sostenere chi ha subito molestie ma non ha prove (e sono la maggioranza). Più snello e slegato da procedure istituzionali l’operato della «Consigliera di fiducia» (di solito avvocate o psicologhe), figura esterna all’ateneo (non è obbligatoria per legge) che appoggia con maggiore concretezza chi chiede aiuto. Ma in Italia le consigliere di fiducia sono appunto solo 35 su 85 università. Molestie, mobbing, ricatti: chi perpetra gli abusi può essere anche all’apice del sistema universitario, personaggi in vista, «intoccabili». Decidere di spezzare questa catena e denunciare sembra in molti casi un’impresa impossibile.

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