Covid, specializzandi senza soldi e senza vaccino: “Poche tutele e soggetti a ricatti”

Come priorità per i vaccini a Cagliari hanno messo i giovani medici dopo i baristi

Un grido di allarme più che di protesta. Sono le voci dei medici specializzandi che dopo il danno – di soldi per la prestazione del loro lavoro come vaccinatori vi sono stati solo annunci – alla beffa: non avranno la priorità di vaccinazione come normale personale medico. Almeno non tutti. Sempre di più sono i casi in tutto lo stivale da Cagliari ad Ancona, dalla Sardegna a Roma, dove le aziende ospedaliere trovano scuse o cavilli normalitivi per cancellare prenotazioni o rimandare le loro vaccinazioni.

Dopo averli esclusi dalla possibilità di partecipare ai bandi del commissario Domenico Arcuri per il reclutamento dei medici vaccinatori, la Legge di bilancio li ha coinvolti “forzatamente” nella campagna vaccinale contro il Covid. La retribuzione prevista, però, è una manciata di Cfu, i crediti formativi universitari. Lavoro gratuito, ancora una volta, travestito da tirocinio.

I casi spuntano come funghi. L’azienda ospedaliera di Cagliari (il quale policlinico, oltretutto, è anche un polo universitario) aveva inizialmente garantito che tutti i 500 medici in formazione avrebbero ricevuto il vaccino al pari dei medici assunti. Le cose, però, sono andate diversamente. L’ospedale ha iniziato con i sanitari dipendenti e poi ha deviato direttamente su altre categorie. “Hanno vaccinato anche personale non sanitario, come i dipendenti del bar, prima di noi”, racconta Fabio, specializzando sardo. “Prima di noi che siamo tutti i giorni nei reparti a tappare i buchi di una sanità in ginocchio”. Quando hanno chiesto chiarimenti sulle tempistiche, il rettore non ha saputo dare nessuna indicazione. Quei pochissimi che sono riusciti a fare il vaccino, spiega Fabio, l’hanno ricevuto a fine giornata perché l’azienda non voleva “sprecare le dosi avanzate”.

Come testimoniato dal medico specializzando Salvatore Mazzeo dell’associazione Chi Si Cura di Te?, la discriminazione abbraccia chiunque non abbia un rapporto di lavoro solido: giovani medici assunti con partita iva, professionisti reclutati con contratti Co.co.co. E poi medici delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale anti-Covid, popolate dai cosiddetti camici grigi (lavoratori precari). “Nonostante il nostro lavoro nei reparti Covid – dice Mazzeo – il criterio che si segue sembra essere quello contrattuale. E questo non è accettabile, perché discrimina un’intera generazione di medici che oltretutto sta sacrificando la propria formazione per dare un contributo all’emergenza sanitaria”

Altro caso eclatante è quello di Ancona, dove inizialmente l’azienda ospedaliera aveva permesso agli specializzandi di prenotarsi ed essere inseriti nel calendario delle vaccinazioni. Salvo poi fare un passo indietro all’ultimo momento senza una spiegazione plausibile: Dobbiamo comunicare che per un errore di carattere tecnico non è stato possibile avvertire le S.S. L.L.. che la Loro prenotazione potrà essere effettuata solo dopo la prenotazione dei dipendenti dell’Azienda di ruolo sanitario in assistenza, in applicazione delle priorità stabilite dalle linee guida ministeriali. La invitiamo pertanto a riprenotarsi nel momento in cui verranno riaperte le prenotazioni per il periodo successivo al 18 gennaio, cosa che presumibilmente avverrà il 4 gennaio.

Scenari simili si sono visti anche a Roma (policlinico Umberto I e ospedale di Tor Vergata, entrambi poli universitari) e a Messina. Tutte le situazioni si sono risolte grazie unicamente alle pressioni delle associazioni di categoria. Rimane invece in piedi il caso della delibera della Regione Lazio, che ha stabilito la classifica delle priorità mettendo gli specializzandi al terzo posto poiché «non direttamente coinvolti nell’assistenza». Cosa non vera, dice Mazzeo, visto che su tutto il territorio ci sono medici in formazione che operano nei reparti Covid.

“Non si tratta di un capriccio”, dice la dottoressa Federica Viola, vicepresidente vicaria di Federspecializzandi. “Noi ci siamo messi al servizio del SSN fin dall’inizio. Ma questo atteggiamento per cui in Italia i giovani vengono messi sempre all’ultimo posto non ci sta bene. Da come verremo trattati oggi dipenderà il futuro della nostra Sanità”.

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