“Ci mancavano anche i bambini che vanno all’ospedale. Che muoiano, m’importa niente dei bambini che si sentono male. Li scaricherei in mezzo di strada, i rifiuti”. Parole agghiaccianti uscite dalla bocca di uno degli intercettati della maxi inchiesta della Dia su oltre 200 mila tonnellate di rifiuti tossici che sarebbero stati smaltiti illegalmente nel livornese. Due le aziende attive nel settore del recupero e trattamento dei rifiuti sequestrate, la Lonzi Metalli srl e la Rari srl; sono sei invece gli arrestati: Emiliano Lonzi, Stefano Pulceri, Marco Palandri, Anna Mancini, Stefano Lena e Alessandro Bertini.
I rifiuti sarebbero transitati in due discariche della provincia gestite da due aziende a partecipazione pubblica, la Rea di Rosignano Marittimo e la Rimateria di Piombino. Tra i rifiuti tossici che arrivavano in discarica come “ordinari e innocui”, c’erano stracci imbevuti di sostanze tossiche, filtri per olio motore e toner, secondo quanto scrive Marco Gasperetti sul Corriere Della Sera. Nelle discariche entravano camion carichi ad altissimo rischio ambientale e di salute pubblica e ne uscivano puliti, come se quei siti fossero l’esempio più virtuoso di ecologia. Ma come avveniva? Il pubblico ministero Squillace Greco parla di “metodo Terra dei fuochi”; uno scambio di codici e documenti che identificavano i rifiuti tossici come normale spazzatura, tutto sotto il naso dell’autorità di controllo che genera più di un sospetto sulla connivenza. Il business superava i 26 milioni di euro con una truffa per la Regione Toscana di almeno 4 milioni di euro.
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