Due conti prima di iniziare e una serie di valutazioni da pesare sulla bilancia del futuro. La parola chiave è spendibilità e su questa le matricole costruiscono il proprio percorso universitario. Così l’iscrizione ad un corso di laurea è sempre meno determinata dalla passione e sempre di più dagli sbocchi professionali che questa può garantire.
Ma come ci si orienta nel mare magnum delle facoltà? La maggior parte dei ragazzi si affida alle classifiche del momento, che eccetto qualche piccola variazione, sembrano concordi nel ritenere le laurea scientifiche un buon biglietto di presentazione. A loro, infatti, spetta il primato della spendibilità sul posto di lavoro.
Secondo l’Istat nel 2007 le percentuali maggiori di occupati, a tre anni dal conseguimento della laurea, riguardano i laureati del gruppo ingegneria (l’81,3%è impegnato in un lavoro continuativo iniziato dopo la laurea), quelli del gruppo chimico farmaceutico(73,7%) e del gruppo economico-statistico (65,7%). Quote più contenute di giovani impegnati in un lavoro continuativo dopo il conseguimento del titolo di studio, si rilevano invece tra i laureati del gruppo medico (svolgono un lavoro continuativo soltanto in circa 24 casi su 100).
In realtà, dopo un’analisi più attenta dei dati, emerge che ogni laurea può essere più o meno spendibile sul mondo del lavoro, l’importante è capire su cosa puntare. Ad esempio sempre gettando uno sguardo agli ultimi dati Istat si evince che la laurea triennale in ingegneria è poco spendibile sul mercato del lavoro mentre i laureati triennali nelle professioni sanitarie afferenti al gruppo medico (ben il 92,3%) presentano livelli di occupazione fortemente superiori alla media.
D’altra parte, si legge nel rapporto Istat “Università e lavoro: orientarsi con la statistica“, i laureati in corsi triennali dell’area medica sono quelli che raramente si proiettano ai corsi specialistici successivi; all’opposto, è soprattutto negli indirizzi disciplinari delle aree geo-biologica, giuridica ed ingegneria che risulta particolarmente consistente la quota di laureati triennali che non lavorano e non cercano lavoro, perché impegnati in ulteriori attività formative (oltre il 60%)”.
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