Che futuro ha un paese in cui neanche i giovani possono riscattarsi socialmente studiando? Di mobilità sociale si parla sempre, da decenni, ma il risultato è che in Italia le condizioni di partenza definiscono ancora gran parte dei percorsi di vita dei giovani. Chi proviene da famiglie più svantaggiate, non solo in termini economici, ma anche di titolo di studio dei genitori, di fatto studia di meno e quando anche arriva a iscriversi all’università, sceglie corsi di laurea più brevi. Questo quanto riportato dai dati contenuto nell’ultimo rapporto di Almalaurea per il 2017. E, campanello di allarme, un passo fondamentale è la scelta della scuola superiore per cui in Italia non c’è ancora un vero orientamento.
Il rapporto traccia un profilo del laureati del 2017, che mostrano un gradiente sociale netto: solo l’1,8% dei laureati nel corso dell’anno appena passato ha un diploma di istituto professionale e il 19% proviene da istituti tecnici.Attualmente il 17,5% di chi nel 2016 è iscritto all’università come studente non lavoratore (fonte Almadiploma 2018 ) proviene da istituti professionali.
L’84% dei diplomati, provenienti da famiglie in cui almeno un genitore è laureato, ha deciso di iscriversi all’università (senza aver mai abbandonato gli studi), quota che scende al 65% tra i giovani i cui genitori sono in possesso di un diploma, al 46% tra quanti hanno padre e madre con un titolo di scuola dell’obbligo e al 41% tra i diplomati con genitori con al massimo licenza elementare.
Un altro fattore destabilizzante per gli studenti è il passaggio dalla triennale alla magistrale. Il famoso 3+2. Un’idea di base propulsiva a far studiare gli studenti in atenei diversi non fossilizzandosi su un’offerta formativa e vincolante. Ma che in mancanza di fondi all’università Nel passaggio tra i due livelli di studio si registra un’ulteriore selezione socio-economica: proseguono la formazione più assiduamente i laureati che hanno alle spalle famiglie culturalmente avvantaggiate e più attrezzate a sostenere gli studi dei figli.
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